Le donne di Euripide #1
Cari
lettori,
sono
molto felice di riaprire la rubrica “Donne straordinarie” nel
2018 con
una nuova serie dedicata ad uno straordinario drammaturgo classico,
che ha dato tanto spazio alla figura femminile ed a tutte le sue
sfaccettature: Euripide.
Ho
già parlato di teatro greco in varie occasioni, ed in particolare in questo post, che è incentrato sulla figura di Ifigenia (e si
riferisce alla tragedia euripidea Ifigenia
in Aulide,
ma non solo), ed in questo, dedicato alla figura di Elettra, la
protagonista assoluta di una delle tragedie di Sofocle.
Noi
“classicisti” siamo stati abituati da tempo a fare delle rigorose
distinzioni tra i tre più grandi tragediografi greci, ovvero
Eschilo, Sofocle ed Euripide.
C’è
stato insegnato che per Eschilo il vero protagonista è il Fato, che
manovra gli uomini a suo piacimento e che rende ancora più
drammatico il destino di ogni singolo personaggio.
Ci
è stato ripetuto che Sofocle ci presenta dei veri e propri eroi (ed
Elettra ne è sicuramente un esempio): personaggi forti, volitivi,
idealisti, che inseguono un obiettivo anche se sono ben consapevoli
che esso costerà loro la vita o, nel meno grave dei casi, un
terribile rovescio della loro sorte.
Ci
è stato infine detto che Euripide è figlio di una generazione
successiva. I coetanei del drammaturgo, infatti, iniziano a riporre
maggior fiducia in loro stessi, a temere meno il destino, a rimettere
in gioco alcuni valori considerati “assoluti” fino a quel momento
ed a porsi alcune domande sulla società e perfino sulle
disuguaglianze che ci sono tra gli uomini e le donne.
È per questo
motivo che, leggendo le tragedie dell’autore (o vedendole
rappresentate, se si è fortunati) si possono trovare argomentazioni
di carattere sofistico, una grande varietà di personaggi, versioni
originali di miti ormai conosciuti, qualche sorprendente lieto (anche
se non lietissimo) finale ed una grande quantità
di
donne.
Ciò
di cui però mi piacerebbe parlare in questo post e negli altri che
apparterranno a questa serie sono le qualità
dominanti
di ogni donna della quale Euripide ha deciso di scrivere.
Mi piace
pensare che egli abbia compiuto con le sue donne la stessa operazione
letteraria che Omero aveva fatto con gli eroi mitologici: quello di
attribuire una caratteristica propria ad ogni singola figura
femminile, così come, nell’Iliade,
Achille era accecato
dall’ira,
Ulisse era astuto,
Priamo era saggio…
Com’è
facile immaginare, questo rende Euripide estremamente diverso da
Eschilo, ma, a mio parere, anche da Sofocle.
Sarebbe
difficile immaginare tre storie più diverse di quelle che vedono
protagonisti Elettra, Antigone ed Aiace, eppure i tre personaggi
sofoclei sono incredibilmente simili tra loro, con la loro costanza,
il loro attaccamento agli ideali, il loro spirito di sacrificio e, se
è consentito dirlo, la loro tendenza a non ascoltare le persone a
cui vogliono bene.
Se
ci accostiamo alla produzione euripidea, invece, scopriamo subito che
Medea non è come Elena, che Ecuba non è come Ifigenia, e che
decisamente le due protagoniste della tragedia odierna, Ermione ed
Andromaca, non hanno nulla in comune.
Ho
fatto questa lunga premessa per spiegare meglio il senso di questo
post e di quelli che lo seguiranno.
A
questo punto molti di voi probabilmente si chiederanno: perché
ritengo che la caratteristica fondamentale di Andromaca (e la sua
forza) sia la capacità di non provare rancore? Cercherò di
spiegarvelo…
La
vicenda narrata
Andromaca,
nell’Iliade,
è il simbolo di tutte le vedove di guerra: privata dell’amato
marito Ettore, ha dovuto assistere all’uccisione del figlioletto
Astianatte, ancora in fasce, ed è stata venduta ai Greci.
All’inizio
della tragedia ella è la donna di Neottolemo, il giovanissimo e
crudele figlio di Achille, ed ha avuto un figlio da lui.
La
sua vita già difficile è sconvolta da un avvenimento: l’uomo con
cui è costretta a vivere decide di sposarsi con Ermione, figlia di
Menelao, che però sembra essere sterile.
Gelosi
della fertilità e dell’aspetto ancora fiorente di Andromaca, padre
e figlia complottano insieme per ucciderla, e condannano a morte
senza processo sia lei che suo figlio. I due vengono però salvati
all’ultimo momento da Peleo, il vecchio padre di Achille.
È
allora che ogni personaggio della tragedia fa il suo gioco, seguendo
il proprio opportunismo: Ermione, dopo una serie di (poco credibili)
tentativi di suicidio, fugge insieme al cugino Oreste, giunto a Ftia
perché geloso di Neottolemo; quest’ultimo abbandona moglie e
concubina per andare a Delfi (e venire ucciso proprio da Oreste);
Menelao ignora volutamente le decisioni della figlia, preso dalla
consueta brama di potere che lo caratterizza. Andromaca è impotente
spettatrice della tragedia; lei e Peleo, tuttavia, saranno gli unici
personaggi premiati dagli dei al termine della vicenda.
La
“rivalità tra donne” e la capacità di accettare il proprio
destino
Andromaca
è
una tragedia nel corso della quale Euripide rimette in discussione il
ruolo della donna, attribuendole una grande importanza all’interno
delle mura domestiche e per quel che riguarda la gestione del nucleo
familiare.
In
questo senso, ciò di cui il lettore si può immediatamente accorgere
è il fatto che Ermione ed Andromaca sono in competizione per via di
Neottolemo…ma che quest’ultimo, di fatto, non esiste nel corso
della tragedia: le sue gesta, infatti, sono sempre raccontate da
altri. L’impressione è che l’uomo (che, tra l’altro, entrambe
le donne disprezzano, per motivi differenti) non sia nemmeno
considerato come una persona in carne ed ossa, ma solo come un
simbolo, una pedina in una guerra tra famiglie che puntano ad avere
rispettabilità e potere.
Per
quanto riguarda, poi, la supposta “rivalità” tra le due donne, è
necessario specificare che essa è a senso unico. È Ermione l’unica
a struggersi guardando Andromaca, il suo figlio in salute ed il suo
aspetto piacente nonostante gli anni in più.
Andromaca
è schiava, infelice, in cuor suo disprezza l’uomo che ha ucciso
empiamente l’ex suocero Priamo (e che è figlio dell’uomo che ha
ucciso Ettore) e, con ogni probabilità, desidererebbe a sua volta
essere morta sotto le mura di Troia.
Per
quanto ciò sia terribile anche solo da immaginare, tuttavia, la
donna realmente prigioniera tra le due – incarceratasi con le sue
stesse mani – è Ermione, una ragazza figlia di un re vincitore
della guerra e della donna più bella del mondo, appena andata in
sposa con tutti gli onori, eppure incapace di trovare pace, tanto da
provare invidia per una persona flagellata dalla sorte come
Andromaca.
Ermione non si fida delle altre donne, nei confronti delle
quali indirizza un’invettiva molto lunga e pesante (adeguatamente
criticata dal coro di donne locali), ma, in definitiva, non ha stima
neppure per se stessa.
Andromaca
invece, dopo un primo momento di smarrimento, non cova rabbia e
risentimento nei confronti di nessuno: considera tali sentimenti dei
pesi inutili, e continua a lottare, per il figlio che le è rimasto e
per la sua stessa salvezza.
La
neutralità di Andromaca tra le tante rivalità personali della
tragedia
Prima
di accostarsi alla tragedia, il lettore/spettatore si aspetterebbe di
sentire parole di fuoco da parte di Andromaca per quanto riguarda la
guerra e gli strascichi che essa ha provocato, ma, con sua grande
sorpresa, ella non fa che qualche riferimento.
Sono
invece gli altri personaggi della tragedia a rivelare degli amari
retroscena del periodo immediatamente successivo alla conclusione
della guerra.
Il
vecchio Peleo, innanzitutto, che appartiene alla generazione in cui i
re micenei si facevano la guerra tra di loro e non avevano ancora
trovato un nemico comune, sembra non aver mai abbandonato l’ideologia
di quei tempi. Egli, infatti, rimprovera aspramente Menelao ed il suo
popolo, gli spartani, da lui ritenuti avidi, violenti e di facili
costumi.
Menelao,
dal canto suo, nonostante le sue deboli argomentazioni, non riesce
proprio a camuffare il pentimento per aver perdonato subito Elena, la
moglie, perché la sua fama di donna volubile e crudele è ricaduta
sulla figlia Ermione.
Oreste,
infine, cova risentimento nei confronti di Neottolemo non solo perché
desidererebbe essere lui il marito di Ermione, ma anche perché egli
l’ha accusato di empietà e di essere un matricida, mentre lui non
si pente di aver vendicato il padre.
Generazione
dopo generazione, dunque, il destino del popolo greco sembra quello
della lotta fratricida, mentre l’unico personaggio che cerca di
dimenticare il passato e di andare avanti salvando, se non se stessa,
almeno suo figlio è proprio Andromaca, la donna
straniera venuta
dall’Oriente e per questo ritenuta ingiustamente da tutti maliziosa
e maligna.
Ciò
che Euripide voleva comunicare al suo popolo è fin troppo evidente:
le rivalità tra polis
sono
state purtroppo una costante della storia greca ed hanno
inevitabilmente portato alla Guerra del Peloponneso.
Il
futuro di Andromaca al di là della tragedia
Il
dramma si risolve con la comparsa di un Deus
ex machina,
ovvero Teti, la madre di Achille. Ella decide di donare un lieto fine
a Peleo, che è vecchio ed ha visto morire figlio e nipote, e ad
Andromaca, che è stata una vittima delle circostanze avverse.
Per
il primo ella stabilisce un futuro di serenità insieme a lei, in una
grotta vicino al mare, in ricordo della loro antica unione.
Per
la seconda, invece, il destino ha in serbo un matrimonio con il
troiano Eleno, uno stanziamento presso la terra dei Molossi e
l’inizio di una nuova dinastia.
Il
lettore, se vuole, può ritrovare Andromaca nel III libro dell’Eneide
di
Virgilio. Enea, infatti, nel corso delle sue peregrinazioni, arriva
proprio presso i Molossi ed incontra Eleno e la sua nuova moglie. Il
modo in cui è stata costruita la capitale del regno commuove l’eroe
virgiliano: essa, infatti, è in tutto e per tutto una piccola Troia,
con le stesse strade ed i medesimi monumenti.
Alcuni
studi di filosofia estetica hanno considerato questa ricostruzione di
una città ormai perduta come un classico esempio di arte che consola
l’uomo, offrendo un’immagine illusoria ma tangibile di un mondo
che non esiste più.
Si
tratta di una teoria sicuramente convincente; ciò che è certo è
che sia Euripide che Virgilio ritengono il matrimonio con Eleno la
giusta ricompensa per Andromaca, che ha sopportato con forza le sue
disgrazie senza mai cedere all’odio ed al rancore ed ora può
trovare la sua pace.
Che
ne dite di questo primo personaggio della carrellata dedicata ad
Euripide?
Vi
piace? Lo trovate attuale?
Personalmente mi piacerebbe riuscire a presentarvi, una dopo l’altra, tutte le donne “ritratte” da questo straordinario drammaturgo!
Personalmente mi piacerebbe riuscire a presentarvi, una dopo l’altra, tutte le donne “ritratte” da questo straordinario drammaturgo!
Se
vi va, scrivete pure nei commenti di quale figura mitologica vi
piacerebbe leggere qualcosa…così so su quali personaggi orientarmi
per scrivere i prossimi capitoli della serie!
Grazie
per la lettura, al prossimo post 😊
Bello questo scenario che ci presenti Silvia.
RispondiEliminaAdoro i miti greci e immergermi nei tuoi post è molto bello
Ciao Susy, grazie! Anche io ho una passione per l'epoca antica...anche se credo che si sia capito!!
EliminaCara Silvia, trovo i tuoi post sempre molto interessanti.
RispondiEliminaCiao e buon pomeriggio con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Ciao Tomaso...contenta di averti interessato! Buon pomeriggio anche a te :-)
EliminaCiao Silvia, il personaggio di Andromaca mi ha sempre affascinata e mi è piaciuto ripercorrere la sua storia leggendo il tuo post, complimenti è proprio una bellissima analisi!
RispondiEliminaCiao! Sicuramente è un personaggio interessante già nel poema omerico... nella tragedia la sua storia subisce una svolta! :-)
Eliminaun post davvero interessante! Anzi... a dire il vero trovo interessante tutto il tuo blog, infatti mi sono subito aggiunta ai tuoi lettori fissi!
RispondiEliminaCiao Luisa! Grazie mille e benvenuta!! :-)
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