giovedì 11 gennaio 2018

ANDROMACA: UNA DONNA CHE NON PROVA RANCORE

Le donne di Euripide #1




Cari lettori,
sono molto felice di riaprire la rubrica “Donne straordinarie” nel 2018 con una nuova serie dedicata ad uno straordinario drammaturgo classico, che ha dato tanto spazio alla figura femminile ed a tutte le sue sfaccettature: Euripide.


Ho già parlato di teatro greco in varie occasioni, ed in particolare in questo post, che è incentrato sulla figura di Ifigenia (e si riferisce alla tragedia euripidea Ifigenia in Aulide, ma non solo), ed in questo, dedicato alla figura di Elettra, la protagonista assoluta di una delle tragedie di Sofocle.

Noi “classicisti” siamo stati abituati da tempo a fare delle rigorose distinzioni tra i tre più grandi tragediografi greci, ovvero Eschilo, Sofocle ed Euripide.

C’è stato insegnato che per Eschilo il vero protagonista è il Fato, che manovra gli uomini a suo piacimento e che rende ancora più drammatico il destino di ogni singolo personaggio.

Ci è stato ripetuto che Sofocle ci presenta dei veri e propri eroi (ed Elettra ne è sicuramente un esempio): personaggi forti, volitivi, idealisti, che inseguono un obiettivo anche se sono ben consapevoli che esso costerà loro la vita o, nel meno grave dei casi, un terribile rovescio della loro sorte.

Ci è stato infine detto che Euripide è figlio di una generazione successiva. I coetanei del drammaturgo, infatti, iniziano a riporre maggior fiducia in loro stessi, a temere meno il destino, a rimettere in gioco alcuni valori considerati “assoluti” fino a quel momento ed a porsi alcune domande sulla società e perfino sulle disuguaglianze che ci sono tra gli uomini e le donne.
È per questo motivo che, leggendo le tragedie dell’autore (o vedendole rappresentate, se si è fortunati) si possono trovare argomentazioni di carattere sofistico, una grande varietà di personaggi, versioni originali di miti ormai conosciuti, qualche sorprendente lieto (anche se non lietissimo) finale ed una grande quantità di donne.



Ciò di cui però mi piacerebbe parlare in questo post e negli altri che apparterranno a questa serie sono le qualità dominanti di ogni donna della quale Euripide ha deciso di scrivere.

Mi piace pensare che egli abbia compiuto con le sue donne la stessa operazione letteraria che Omero aveva fatto con gli eroi mitologici: quello di attribuire una caratteristica propria ad ogni singola figura femminile, così come, nell’Iliade, Achille era accecato dall’ira, Ulisse era astuto, Priamo era saggio…

Com’è facile immaginare, questo rende Euripide estremamente diverso da Eschilo, ma, a mio parere, anche da Sofocle. 
Sarebbe difficile immaginare tre storie più diverse di quelle che vedono protagonisti Elettra, Antigone ed Aiace, eppure i tre personaggi sofoclei sono incredibilmente simili tra loro, con la loro costanza, il loro attaccamento agli ideali, il loro spirito di sacrificio e, se è consentito dirlo, la loro tendenza a non ascoltare le persone a cui vogliono bene.

Se ci accostiamo alla produzione euripidea, invece, scopriamo subito che Medea non è come Elena, che Ecuba non è come Ifigenia, e che decisamente le due protagoniste della tragedia odierna, Ermione ed Andromaca, non hanno nulla in comune.


Ho fatto questa lunga premessa per spiegare meglio il senso di questo post e di quelli che lo seguiranno.
A questo punto molti di voi probabilmente si chiederanno: perché ritengo che la caratteristica fondamentale di Andromaca (e la sua forza) sia la capacità di non provare rancore? Cercherò di spiegarvelo…



La vicenda narrata



Andromaca, nell’Iliade, è il simbolo di tutte le vedove di guerra: privata dell’amato marito Ettore, ha dovuto assistere all’uccisione del figlioletto Astianatte, ancora in fasce, ed è stata venduta ai Greci.
All’inizio della tragedia ella è la donna di Neottolemo, il giovanissimo e crudele figlio di Achille, ed ha avuto un figlio da lui.

La sua vita già difficile è sconvolta da un avvenimento: l’uomo con cui è costretta a vivere decide di sposarsi con Ermione, figlia di Menelao, che però sembra essere sterile.
Gelosi della fertilità e dell’aspetto ancora fiorente di Andromaca, padre e figlia complottano insieme per ucciderla, e condannano a morte senza processo sia lei che suo figlio. I due vengono però salvati all’ultimo momento da Peleo, il vecchio padre di Achille.

È allora che ogni personaggio della tragedia fa il suo gioco, seguendo il proprio opportunismo: Ermione, dopo una serie di (poco credibili) tentativi di suicidio, fugge insieme al cugino Oreste, giunto a Ftia perché geloso di Neottolemo; quest’ultimo abbandona moglie e concubina per andare a Delfi (e venire ucciso proprio da Oreste); Menelao ignora volutamente le decisioni della figlia, preso dalla consueta brama di potere che lo caratterizza. Andromaca è impotente spettatrice della tragedia; lei e Peleo, tuttavia, saranno gli unici personaggi premiati dagli dei al termine della vicenda.



La “rivalità tra donne” e la capacità di accettare il proprio destino



Andromaca è una tragedia nel corso della quale Euripide rimette in discussione il ruolo della donna, attribuendole una grande importanza all’interno delle mura domestiche e per quel che riguarda la gestione del nucleo familiare.

In questo senso, ciò di cui il lettore si può immediatamente accorgere è il fatto che Ermione ed Andromaca sono in competizione per via di Neottolemo…ma che quest’ultimo, di fatto, non esiste nel corso della tragedia: le sue gesta, infatti, sono sempre raccontate da altri. L’impressione è che l’uomo (che, tra l’altro, entrambe le donne disprezzano, per motivi differenti) non sia nemmeno considerato come una persona in carne ed ossa, ma solo come un simbolo, una pedina in una guerra tra famiglie che puntano ad avere rispettabilità e potere.

Per quanto riguarda, poi, la supposta “rivalità” tra le due donne, è necessario specificare che essa è a senso unico. È Ermione l’unica a struggersi guardando Andromaca, il suo figlio in salute ed il suo aspetto piacente nonostante gli anni in più.

Andromaca è schiava, infelice, in cuor suo disprezza l’uomo che ha ucciso empiamente l’ex suocero Priamo (e che è figlio dell’uomo che ha ucciso Ettore) e, con ogni probabilità, desidererebbe a sua volta essere morta sotto le mura di Troia.


Per quanto ciò sia terribile anche solo da immaginare, tuttavia, la donna realmente prigioniera tra le due – incarceratasi con le sue stesse mani – è Ermione, una ragazza figlia di un re vincitore della guerra e della donna più bella del mondo, appena andata in sposa con tutti gli onori, eppure incapace di trovare pace, tanto da provare invidia per una persona flagellata dalla sorte come Andromaca.

Ermione non si fida delle altre donne, nei confronti delle quali indirizza un’invettiva molto lunga e pesante (adeguatamente criticata dal coro di donne locali), ma, in definitiva, non ha stima neppure per se stessa.

Andromaca invece, dopo un primo momento di smarrimento, non cova rabbia e risentimento nei confronti di nessuno: considera tali sentimenti dei pesi inutili, e continua a lottare, per il figlio che le è rimasto e per la sua stessa salvezza.



La neutralità di Andromaca tra le tante rivalità personali della tragedia


Prima di accostarsi alla tragedia, il lettore/spettatore si aspetterebbe di sentire parole di fuoco da parte di Andromaca per quanto riguarda la guerra e gli strascichi che essa ha provocato, ma, con sua grande sorpresa, ella non fa che qualche riferimento.

Sono invece gli altri personaggi della tragedia a rivelare degli amari retroscena del periodo immediatamente successivo alla conclusione della guerra.
Il vecchio Peleo, innanzitutto, che appartiene alla generazione in cui i re micenei si facevano la guerra tra di loro e non avevano ancora trovato un nemico comune, sembra non aver mai abbandonato l’ideologia di quei tempi. Egli, infatti, rimprovera aspramente Menelao ed il suo popolo, gli spartani, da lui ritenuti avidi, violenti e di facili costumi.
Menelao, dal canto suo, nonostante le sue deboli argomentazioni, non riesce proprio a camuffare il pentimento per aver perdonato subito Elena, la moglie, perché la sua fama di donna volubile e crudele è ricaduta sulla figlia Ermione.

Oreste, infine, cova risentimento nei confronti di Neottolemo non solo perché desidererebbe essere lui il marito di Ermione, ma anche perché egli l’ha accusato di empietà e di essere un matricida, mentre lui non si pente di aver vendicato il padre.

Generazione dopo generazione, dunque, il destino del popolo greco sembra quello della lotta fratricida, mentre l’unico personaggio che cerca di dimenticare il passato e di andare avanti salvando, se non se stessa, almeno suo figlio è proprio Andromaca, la donna straniera venuta dall’Oriente e per questo ritenuta ingiustamente da tutti maliziosa e maligna.
Ciò che Euripide voleva comunicare al suo popolo è fin troppo evidente: le rivalità tra polis sono state purtroppo una costante della storia greca ed hanno inevitabilmente portato alla Guerra del Peloponneso.



Il futuro di Andromaca al di là della tragedia


Il dramma si risolve con la comparsa di un Deus ex machina, ovvero Teti, la madre di Achille. Ella decide di donare un lieto fine a Peleo, che è vecchio ed ha visto morire figlio e nipote, e ad Andromaca, che è stata una vittima delle circostanze avverse.
Per il primo ella stabilisce un futuro di serenità insieme a lei, in una grotta vicino al mare, in ricordo della loro antica unione.
Per la seconda, invece, il destino ha in serbo un matrimonio con il troiano Eleno, uno stanziamento presso la terra dei Molossi e l’inizio di una nuova dinastia.


Il lettore, se vuole, può ritrovare Andromaca nel III libro dell’Eneide di Virgilio. Enea, infatti, nel corso delle sue peregrinazioni, arriva proprio presso i Molossi ed incontra Eleno e la sua nuova moglie. Il modo in cui è stata costruita la capitale del regno commuove l’eroe virgiliano: essa, infatti, è in tutto e per tutto una piccola Troia, con le stesse strade ed i medesimi monumenti.
Alcuni studi di filosofia estetica hanno considerato questa ricostruzione di una città ormai perduta come un classico esempio di arte che consola l’uomo, offrendo un’immagine illusoria ma tangibile di un mondo che non esiste più.

Si tratta di una teoria sicuramente convincente; ciò che è certo è che sia Euripide che Virgilio ritengono il matrimonio con Eleno la giusta ricompensa per Andromaca, che ha sopportato con forza le sue disgrazie senza mai cedere all’odio ed al rancore ed ora può trovare la sua pace.




Che ne dite di questo primo personaggio della carrellata dedicata ad Euripide?
Vi piace? Lo trovate attuale?

Personalmente mi piacerebbe riuscire a presentarvi, una dopo l’altra, tutte le donne “ritratte” da questo straordinario drammaturgo!

Se vi va, scrivete pure nei commenti di quale figura mitologica vi piacerebbe leggere qualcosa…così so su quali personaggi orientarmi per scrivere i prossimi capitoli della serie!
Grazie per la lettura, al prossimo post 😊

8 commenti :

  1. Bello questo scenario che ci presenti Silvia.
    Adoro i miti greci e immergermi nei tuoi post è molto bello

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    1. Ciao Susy, grazie! Anche io ho una passione per l'epoca antica...anche se credo che si sia capito!!

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  2. Cara Silvia, trovo i tuoi post sempre molto interessanti.
    Ciao e buon pomeriggio con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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    1. Ciao Tomaso...contenta di averti interessato! Buon pomeriggio anche a te :-)

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  3. Ciao Silvia, il personaggio di Andromaca mi ha sempre affascinata e mi è piaciuto ripercorrere la sua storia leggendo il tuo post, complimenti è proprio una bellissima analisi!

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    1. Ciao! Sicuramente è un personaggio interessante già nel poema omerico... nella tragedia la sua storia subisce una svolta! :-)

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  4. un post davvero interessante! Anzi... a dire il vero trovo interessante tutto il tuo blog, infatti mi sono subito aggiunta ai tuoi lettori fissi!

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