Novecento in poesia #10
Cari lettori,
siamo al penultimo appuntamento con il nostro "Novecento in poesia"!
Oggi vi propongo una carrellata di personaggi, tutti diversi tra loro, in qualche modo indimenticabili. Vi avverto: alcuni di questi componimenti sono davvero sorprendenti!
Leggiamoli insieme...
Delizia (e saggezza) del bevitore, di Giorgio Caproni
a Luigi Volpicelli
Bicchiere dopo bicchiere.
D’un bel rosso.
Acceso.
In fiamma con la trasparenza
dell’albero.
È solo
(è sera) al tavolo
d’uscio dell’osteria.
Guarda la via andar via
verso il bosco e verso il buio.
Sa l’ombra.
Ma è in allegria.
Carezza la bottiglia
con mano amorosa.
(Beve vino, o una rosa?)
Da “Poesia della fonte”, di Maurizio Cucchi
Il console generale a Bogotà
aveva annotato, grazioso,
che nei sobborghi di Milano
c’erano certi casoni…
E cento stanze cento famiglie, e i bimbi
erano rossi e allegri,
moltissimi, e bellissimi.
Ma a giudicare dalla famosa foto,
di settant’anni dopo,
e che tu chiami dei bambini esposti,
il nobile di Zenevredo,
l’eccellente scrittore si sbagliava.
Ancora, a Marilyn, di Gianni d’Elia
Ma quanti ha gli anni della tua morte
di nervi divi e di amaro brandy,
ugualmente reciti lo si compendi
nell’età che alle dorate porte
del nulla in serie, e più ai cancelli,
tutte ha bruciato le bionde scorte
di quegli ingenui, nudi, ribelli
giorni, se i veri ciechi fratelli
nostri siam noi, e dalle anime corte
di tutti gli schermi, invescati uccelli
presi in panio arso di forme
alla celluloide dei tuoi capelli? …
da “Istmi e chiuse”, di Eugenio De Signoribus
(racconto)
l’uomo era l’albero del suo battello
venuto incontro alla secca e ora arenato
chiuso se ne stava nel suo mantello
senza gesti o alti richiami
- vorrei farmi amare da voi -
dichiarò appena udibile rivolto verso terra
per mezzo cerchio girai lo sguardo
da lui a quella parte:
lì non c’era nessuno
né dune né rocce che potessero
nascondere qualcuno
- è una svista… o forse una visione… -
gli annunciai da fuori della pagina
il battello era intanto finito di fianco
così che egli ora mi stava di fronte
ma mi era oscura la sua immaginazione
perché potessi sapere se mi vedeva… -
comunque parlò
la tua voce è plurale
ti anima un piccolo popolo di turbati e innocenti
che da soli arrivano alla tua casa
o da te cercati con te l’attraversano…
perché io che più in là non posso andare
ugualmente vorrei farmi amare da voi
per esserne parte… -
questa è la fedele pagina
della sua inaspettata presentazione
Lotte primarie, di Giancarlo Majorino
Giuseppe è intelligente, interessato
e interessante quando,
tra due schiere di gente, ha combinato
un affare.
Abbraccia pure me, che ho guadagnato niente
e sto come uno scoglio
nel mare la sua bianca mano che carezza
e spolvera la spalla vola gabbiano.
Ma, via Pasquirolo, budello
di parafanghi, parliamo
nel cielo entrambi d’arte,
senza retorica, artigiani
consapevoli e capaci, soddisfatte
stiratrici, carabinieri
di guardia in Prefettura.
Mercanti litigano in piazza Fontana;
dopo, mano sulla mano, è fatta:
ritirano la rabbia coi soldi,
avanzando sorrisi, chiacchierando
liberati, leggeri come piccioni.
A casa le mogli scendono la pasta,
tra poco arrivano
i mariti i soldi;
dalle finestre fumano canzoni
salendo al cielo della Lombardia
coi fischi, colle scritte, coi cartelli
dei disoccupati in via Vivaio;
vispi commentiamo: sembra Brecht.
Il ventaglio, di Eugenio Montale
Ut pictura… Le labbra che confondono,
gli sguardi, i segni, i giorni ormai caduti
provo a figgerli là come in un tondo
di cannocchiale arrovesciato, muti
e immoti, ma più vivi. Era una giostra
d’uomini e ordegni in fuga tra quel fumo
ch’Euro batteva, e già l’alba l’inostra
con un sussulto e rompe quelle brume.
Luce la madreperla, la calanca
vertiginosa inghiotte ancora vittime,
ma le tue piume sulle guance sbiancano
e il giorno è forse salvo. O colpi fitti,
quando ti schiudi, o crudi lampi, o scrosci
sull’orde! (Muore chi ti riconosce?)
Da “Diario postumo”, di Eugenio Montale
Agile messaggero eccoti
tendo esitante la lettera per
Adelheit.
L’insensato cantore si ritira
rimbalza a te la palla
che decide la sorte.
Si trattò forse d’una allucinazione?
O fu l’ammaliatrice
solo un’apparizione
a cui non seppi opporre
altro diniego che la fuga.
Corri da lei, Agrodolce
e torna dall’esausto genearca
con un ricordo lieto. Un gesto che
regali l’eliso: questo mi basta,
così impervio è il cammino tracciato
dagli addii a noi mortali.
Da “L’aspetto occidentale del vestito”, di Giampiero Neri
Ritorna come un assente
dopo molte prove
in un improvvisato teatro,
ma il suo lavoro è dimenticato
e dietro le quinte in un angolo
guarda un diverso svolgimento.
Dal principio alla fine
è conveniente seguire ogni giustizia.
Sinopie, di Giorgio Orelli
[mentre in disparte l’umiltà dei vinti…
Da un frammento di C.Rebora]
Ce n’è uno, si chiama, credo, Marzio,
ogni due o tre anni mi ferma che passo
adagio, in bicicletta, dal marciapiede mi chiede
se Dante era sposato e come si chiamava sua moglie.
«Gemma», dico, «Gemma Donati». «Ah sì, sì, Gemma»,
fa lui, con il suo sorriso, «grazie, mi scusi».
Un altro,
più vecchio, che incontro più spesso, son sempre io a salutarlo
per primo, e penso: forse si ricorda
d’avermi aiutato, una notte di pioggia e di vento ch’ero uscito
per medicine, a rimettermi in sesto con i suoi ferri (a quell’ora!)
una ruota straziata dall’ombrello.
Un terzo, quasi centenario, sordo, per solito
se appena mi vede grida «Uheilà, giovanotto» e dal gesto si capisce
che mi darebbe, se potesse, una pacca paterna sulla spalla,
ma talora si limita a sorridermi, o, ad un tratto, eccitato
esclama: «Ha visto! La camelia è sempre la prima a fiorire!»,
o altro, secondo la stagione.
D’altri
pure vorrei parlare, che sono già tutti sinopie
(senza le belle beffe dei peschi dei meli)
traversate da crepe secolari.
I goliardi delle serali, di Elio Pagliarani
I goliardi delle serali in questa nebbia
hanno voglia di scherzare: non è ancora mezzanotte
e sono appena usciti da scuola
«Le cose nuove e belle
che ho appreso quest’anno» è l’ultimo tema da fare,
ma loro non si danno pensiero, vogliono sempre scherzare.
Perché il vigile non interviene, che cosa ci sta a fare?
È vero però che le voci sono fioche e diverse, querule anche nel riso,
o gravi, o incerte, in formazione e in trasformazione,
disparate, discordi, in stridente contrasto accomunate
senza ragione senza necessità senza giustificazione,
ma come per il buio e il neon è la nebbia che abbraccia affratella assorbe inghiotte
e fa il minestrone
e loro ci sguazzano dentro, sguaiati e contenti
- io attesto il miglior portamento dei due allievi sergenti,
il calvo in ispecie, che se capisce poco ha una forza di volontà
militare, e forse ha già preso il filobus.
Quanta pienezza di vita e ricchezza di esperienze!
di giorno il lavoro, la scuola di sera, di notte schiamazzi
(chi sa due lingue vive due vite)
di giorno il lavoro la scuola di sera – non tutti la notte però fanno i compiti
e non imparano le poesie a memoria, di notte preferiscono fare schiamazzi
nascondere il righello a una compagna
e non fanno i compiti
- ma non c’è nessuno che bigi la scuola
sono avari
tutti avari di già, e sanno che costa denari denari.
Il mago, di Giovanni Pascoli
«Rose al verziere, rondini al verone!»
Dice, e l’aria alle sue dolci parole
sibila d’ali, e l’irta siepe fiora.
Altro il savio potrebbe; altro non vuole;
pago se il ciel gli canta e il suol gli odora;
suoi nunzi manda alla nativa aurora,
a biondi capi intreccia sue corone.
Il gioco e la candela, di Silvio Ramat
Qui chiamereste in causa – per averne
saggi d’esperienza spinte esemplari -
un tragico, un uomo di cicatrici.
Gli direste: va’ in scena come sai,
tu che i venti e il diluvio hanno scavato,
tu lapide umana consunta tu onore
del dolore, seme della nostra ansia,
disperazione sola figura di speranza:
di’ quel che puoi, farà sempre sentenza;
albero incupito nelle midolla
ma qualcosa di te non va perduto,
qualche tuo ramo ancora lo sentiamo
battere il tempo battere l’invernata
con fioriture sobrie…
* * *
- Chiamavate? Ecco l’uomo.
Preoccupato, noioso, un po’ d’invidia
nelle vene. Se ancora si portasse
il cappello, dalle falde vedreste
l’angoscia; se possedesse una sola
cravatta, capireste che la sera
lui non ne disfà il nodo. Non ha pace:
a chi porterà pace? A chi sarebbe
d’esempio, lui che non ha esempi? Il gioco
non vale la vostra candela e neppure
la sua, una cera liquefatta prima
che la raggiunga la fiamma: che tocchi
(basta guardarlo) a voi fargli da mamma.
Sotto i colpi, di Nelo Risi
C’è gente che ci passa la vita
che smania di ferire:
dov’è il tallone gridano dov’è il tallone,
quasi con metodo
sordi applicati caparbi.
Sapessero
che disarmato è il cuore
dove più la corazza è alta
tutta borchie e lastre, e come sotto
è tenero l’istrice.
Da “La resistenza dell’aria”, di Gregorio Scalise
Un uomo che con tutte le dita
conta un alfabeto solare:
la sua origine è antica, slitta la stanza
con l’odore del rosmarino
e come la catena di montaggio
ha la forza di un desiderio:
ma basta ricordare che fu un atomo di gioia
a deridere il colpo di dadi:
un fiore deserto conosce le nuvole
non ha inventato niente in quella nostalgia,
solo la reticenza o la conseguenza del silenzio:
la gente fugge con passo deciso
lungo argomenti sconnessi,
lo sguardo si ostina a distinguere
l’odore di una strada felice,
un fiume ha trasportato gli oggetti
e non sa quali prove cerchino gli uomini
della loro esistenza: con gesti senza chiarezza
scorrono sul fianco di quell’azzurro:
fuori campo si presenta
una signora col cappellino,
è una stagione fra pepite medievali
che celebra quella trilogia ardente.
Diana, di Vittorio Sereni
Torna il tuo cielo d’un tempo
sulle altane lombarde,
in nuvole d’afa s’addensa
e nei tuoi occhi esula ogni azzurro,
si raccoglie e riposa.
Anche l’ora verrà della frescura
col vento che si leva sulle darsene
dei Navigli e il cielo
che
per le rive s’allontana.
Torni anche tu, Diana,
tra i tavoli schierati all’aperto
e la gente intenta alle bevande
sotto la luna distante?
Ronza un’orchestra in sordina;
all’aria che qui ne sobbalza
ravviso il tuo ondulato passare,
s’addolce nella sera il fiero nome
se qualcuno lo mormora
sulla tua traccia.
Presto vien giugno
e l’arido fiore del sonno
cresciuto ai più tristi sobborghi
e il canto che avevi, amica, sulla sera
torna a dolere qui dentro,
alita sulla memoria
a rimproverarti la morte.
I pescatori, di Diego Valeri
Rovesciavi il bel viso in fanciullesco modo,
per ascoltare quel trillo alto perduto di allodola;
guardavi stupita gli spazi, la bianca mattina
fumante nel sole, confusa alla bianca marina.
Poi vennero i pescatori: con lunghi strappi oscillanti,
con rotte grida, tiravano in secco le reti stillanti.
Nel bruno groviglio dei fili scorgesti un guizzare d’argenti
di azzurri di verdi. Ridevi tutta, occhi labbra denti.
Questa volta nemmeno io saprei scegliere tra i vari componimenti! Forse "Sinopie" e "Sotto i colpi" sono quelli che mi sono rimasti impressi, ma tutte le poesie che ho scelto oggi per voi mi piacciono molto.
So che mi ripeto, ma vi ringrazio per il supporto. So che i post letterari possono essere impegnativi... quindi grazie a tutti voi che continuate a leggerli. Il mese prossimo tireremo le fila insieme.
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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