Novecento in poesia #8
Cari lettori, benvenuti all'appuntamento di aprile con "L'angolo della poesia" ed il nostro percorso alla scoperta del Novecento!
Questo è un mese romantico: parliamo d'amore, nelle sue mille sfumature!
I componimenti dei poeti novecenteschi esplorano nel profondo questo sentimento, e spero che emozioneranno anche voi...
Le scarpette di chevreau, di Attilio Bertolucci
Esentato dal servizio militare perché
assegnato ai servizi sedentari
per la nevrosi cardiaca che l’accompagna
da quando ebbe uno sfregamento pleurico
A. s’è costruito una cella
per sé per lei
che li protegga dai tempi che corrono.
È come se stessero in una capanna
di pali e rami,
allacciate le mani ai ginocchi,
un po’ nascosti un po’ visibili:
lui più attento ai rumori, alle voci
che s’avvicinano e s’allontanano
da loro due immobili fuggiaschi.
Il cielo si va oscurando, si prepara
una burrasca che potrebbe
sconvolgere, distruggere i ripari. Ma
passa, e si sfoga distante,
non tanto da non toccare N.
(che ha un fratello partito per l’Africa).
A. se la tiene più vicina, il succo
dei baci è, deve essere, l’antidoto
che li salva, l’egoismo l’arma
per combattere subdolamente chi
non è possibile altrimenti affrontare.
L’avventura finisce in un tempo
breve, è stato un bagno
più che di sangue, di parole… Ma
la bella Europa di Bella e Eglantine
è minacciata, non si vive più
in un dopoguerra inebriato
né in un entre deux guerres ansioso
e felice, già questo è un anteguerra
lento, torpido, senza scampo.
Non basterà cacciarsi al sicuro
nelle catacombe dell’Orfeo, del Centrale, del Lux,
maschere di celluloide delirando nel buio…
Res amissa, di Giorgio Caproni
Non ne trovo traccia.
…
Venne da me apposta
(di questo sono certo)
per farmene dono.
…
Non ne trovo più traccia.
…
Rivedo nell’abbandono
del giorno l’esile faccia
biancoflautata…
La manica
in trina…
La grazia,
così dolce e allemanica
nel porgere…
…
Un vento
d’urto – un’aria
quasi silicea agghiaccia
ora la stanza…
(È lama
di coltello?
Tormento
oltre il vetro ed il legno
- serrato – dell’imposta?)
…
Non ne scorgo più il segno.
Più traccia.
…
Chiedo
alla morgana…
Rivedo
esile l’esile faccia
flautoscomparsa…
Schiude
- remota – l’albeggiante bocca,
ma non parla.
(Non può
- niente può – dar risposta.)
…
Non spero più di trovarla.
…
L’ho troppo gelosamente
(irrecuperabilmente) riposta.
Adolescente, di Vincenzo Cardarelli
Su te, vergine adolescente,
sta come un’ombra sacra.
Nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
della tua carne spogliata.
Ma ti recludi nell’attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
Certo non io. Se ti veggo passare
a tanta regale distanza,
con la chioma sciolta
e tutta la persona astata,
la vertigine mi si porta via.
Sei l’imporosa e liscia creatura
cui preme nel suo respiro
l’oscuro gaudio della carne che appena
sopporta la sua pienezza.
Nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia,
il cosmo fa le sue risa
come nell’occhio nero della rondine.
La tua pupilla è bruciata
del sole che dentro vi sta.
La tua bocca è serrata.
Non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
E penso come il tuo corpo
difficoltoso e vago
fa disperare l’amore
nel cuor dell’uomo!
Pure qualcuno ti disfiorerà,
bocca di sorgiva.
Qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne,
avrà questa perla rara.
Gli sarà grazia e fortuna
il non averti cercata
e non sapere chi sei
e non poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso Iddio.
Oh sì, l’animale sarà
abbastanza ignaro
per non morire prima di toccarti.
E tutto è così.
Tu anche non sai chi sei.
E prendere ti lascerai,
ma per vedere come il gioco è fatto,
per ridere un poco insieme.
Come fiamma si perde nella luce,
al tocco della realtà
i misteri che tu prometti
si disciolgono in nulla.
Inconsumata passerà
tanta gioia!
Tu ti darai, tu ti perderai,
per il capriccio che non indovina
mai, col primo che ti piacerà.
Ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
Così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.
Cartina muta, di Milo De Angelis
“Ora lo sai anche tu
lo sappiamo
mentre stiamo per rinascere.”
(Franco Fortini)
Entriamo adesso nell’ultima giornata, nella farmacia
dove il suo viso bianco e senza pace non risponde al saluto
del metronotte: viso assetato, non posso valicarlo,
è lo stesso che una volta chiamai amore, qui
nella nebbia della Comasina.
Camminiamo ancora verso un vetro. Poi lei
getta in un cestino l’orario e gli occhiali,
si toglie il golf azzurro, me lo porge silenziosa.
«Perché fai questo?»
«Perché io sono così» risponde una forma dura della voce,
un dolore che assomiglia
solamente a se stesso. «Perché io…
… né prendere né lasciare.» Avvengono parole
nel sangue, occhi che urtano contro il neon
gelati, intelligenti e inconsolabili,
mani che disegnano sul vetro l’angelo custode
e l’angelo imparziale, cinque dita strette a un filo,
l’idea reggente del nulla, la gola ancora calda.
«Vita, che non sei soltanto vita e ti mescoli
a molti esseri prima di diventare nostra…
… vita, proprio tu vuoi darle
un finale assiderato, proprio qui, dove gli anni
si cercano un metro d’asfalto...»
Interrompiamo l’antologia
e la supplica del batticuore. Riportiamo esattamente
i fatti e le parole. Questo,
questo mi è possibile. Alle tre del mattino
ci fermammo davanti ad un chiosco, chiedemmo
due bicchieri di vino rosso. Volle pagare lei. Poi
mi domandò di accompagnarla a casa, in via Vallazze.
Le parole si capivano e la bocca
non era più impastata. «Dove sei stata
per tutta la mia vita.» Milano torna muta
e infinita, scompare insieme a lei, in un luogo buio
e umido che le scioglie anche il nome,
ci sprofonda nel sangue senza musica. Ma diverremo,
insieme diverremo quel pianto
che una poesia non ha potuto dire, ora lo vedi
e lo vedrò anch’io.. lo vedremo,
ora lo vedremo… lo vedremo tutti… ora…
… ora che stiamo per rinascere.
Nascite, di Luigi Fallacara
Lungo un ramo si genera
la vicinanza della primavera;
allo struggimento conosco
la presenza dell’anima.
Fiori e lacrime, e il gemito
delle cose che cominciano,
delle cose che finiscono,
dentro il cuore si mescola: ne nasce
pallore, odore, il punto di godere
la sofferenza.
O pura donna, con febbrile
meta, si sciolgono le pupille
nello sguardo dove arde
imposseduto pianto.
Ombra nuova sul volto
del bel ramo fiorito,
come il tempo battuto dal mio sangue
precisa appari, appari incanto, e perdita.
Sugli orizzonti decisi d’aria,
ti muovi andando verso
la tua gioia, creatura;
docile, in fondo all’anima dolente,
un’ombra resta in me della tua vita.
Da Le occasioni, di Eugenio Montale
Ti libero la fronte dai ghiaccioli
che raccogliesti traversando l’alte
nebulose; hai le penne lacerate
dai cicloni, ti desti a soprassalti.
Mezzodì: allunga nel riquadro il nespolo
l’ombra nera, s’ostina in cielo un sole
freddoloso; e l’altre ombre che scantonano
nel vicolo non sanno che sei qui.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, di Cesare Pavese
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi…
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
Del miele sulla soglia, di Silvio Ramat
Dev’esserci del miele sulla soglia
di certe case.
Giunti alla chiarezza
del congedo, mi ripetono (in due)
che non sono un soggetto da poco:
anzi
darei di me feconda spremitura:
se appena, per una volta, accettassi
i riti di quel loro lettino… -
io stesso
nell’amaro l’ho pensato di qualche
notte delle ultime, felicitandomi
di non avere alla pendola avita
restituito né lingua né chiave
del suono, il chi sa dove del suo grembo.
In quel nontempo sapevo remare
dalla parte del cuore e riassopirmi.
Da Vidi le Muse, di Leonardo Sinisgalli
Da quanti anni, da sempre
Sul finire del giorno
Lungo il muro il tuo passo ritorna
La tua mano mi tocca
Delusa: Leonardo, mi dici a bocca
Chiusa. Il vento leggera ti scioglie.
Io ti sento partire dal mio fianco
Nella brezza delle foglie.
La tua voce è una carezza
Che brucia più l’ora si attarda:
Io non so dove mi conduce.
Canto di donna, di Sergio Solmi
Canto di donna che si sa non vista
dietro le chiuse imposte, voce roca,
di languenti abbandoni e d’improvvisi
brividi scorsa, di vuote parole
fatta, ch’io non discerno.
O voce assorta, procellosa e dolce,
folta di sogni,
quale rapiva i marinai in mezzo
al mare, un tempo, canto di sirena.
Voce del desiderio, che non sa
se vuole o teme, ed altra non ridice
cosa che sé, che il suo buio, tremante
amore. Come te l’accesa carne
parla talora, e ascolta
sé stupefatta esistere.
Da L’amore delle parti, di Cesare Viviani
anche qui c’è una selva e ci si perde
la vista; abbiamo fatto
come se tu ci fossi un’escursione
e appena tra gli arbusti il silenzio calava
parlavamo di te ridendo; avere
notizia che non ti alzavi più dalla debolezza
e poi col tempo i muscoli si sono fermati alla fine
il cuore quando arrivava un giorno di marzo,
pensando a questo nel bosco si ride ci si diverte
ci si piega in due dalle risa sulla tua morte, amore
A me questa volta sono piaciute particolarmente le poesie di Fallacara e di Solmi, però ci sono dei veri e propri classici che vengono studiati anche a scuola, come il componimento di Pavese o quello di Montale.
E voi invece, da cosa vi siete lasciati emozionare? Fatemi sapere!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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