I mondi di Antonia Pozzi #7
Cari lettori,
bentrovati dopo la piccola pausa pasquale! Spero che la ripresa dopo questo weekend lungo non sia stata troppo traumatica :-)
Noi oggi torniamo al nostro tradizionale appuntamento con "L'angolo della poesia" e con i tanti mondi di Antonia Pozzi. Quello odierno è il più intimo degli incontri con la poetessa lombarda: ho scelto di proporvi, infatti, alcuni suoi componimenti in cui ella si autoanalizza con grande lucidità, cercando un contatto profondo con la sua anima. Da queste poesie emergono una certa malinconia, un flusso incessante di pensieri, una grande nostalgia per l'infanzia e per tempi più felici, un rapporto difficile con la propria autostima, un costante senso di solitudine, ma anche il desiderio di costruire un amore solido, alcuni momenti di pura gioia, un filo di speranza a cui non rinunciare mai, la capacità di autoconfortarsi e di superare un momento difficile. Dopo aver letto questi componimenti, è ancora più doloroso pensare al triste epilogo che Antonia Pozzi ha scelto di dare alla propria vita, ma resta almeno la consapevolezza che ella abbia cercato in tutti i modi di vincere i suoi demoni.
Vi lascio alle poesie, sperando che vi piacciano!
Cencio
(Dipinto: “La persistenza della memoria”, di Salvador Dalì)
C’era uno straccetto celestino
sopra il muro
tutto sgualcito di ditate rosa
tenuto su da due borchie di stelle
ed io lì sotto
come un cencio cinerino
in cui la gente incespica
ma che non val la pena di raccogliere
- lo si stiracchia un po’ di qua e di là coi piedi
e poi
a calci
lo si butta via -
Milano, 8 aprile 1929
Ripresa
(Dipinto: “In bianco”, di Wassily Kandinsky)
Un cespuglietto di fiamme
lambisce a linguate scottanti
la bruna mucosa molliccia delle mie viscere
e sfrigge,
solcando la bava viscida che le ricopre;
sferza, rovente,
la putrida vigliaccheria brulicante nel nero;
avvince, con fili tenacissimi di spasimo,
la volontà rannicchiata
e la trascina,
a stratte turbinose di purezza,
verso l’alto.
Milano, 10 aprile 1929
Meriggio
(Dipinto: “Meriggio”, di Carlo Carrà)
(a L.B.)
In questa doratura di sole
io sono
una gemma pelosa
legata crudelmente con un filo di refe
perché non possa sbocciare
a bagnarsi di luce.
Accanto a me tu sei
una freschezza riposante d’erba
in cui vorrei affondare
perdutamente
per sfrangiarmi anch’io
in un ebbro ciuffo di verde -
per gettare in radici sottili
il mio più acuto spasimo
ed immedesimarmi con la terra.
Milano, 19 aprile 1929
Solitudine
(Dipinto: “Donna nella toilette”, di Henri De Toulouse - Lautrec)
(ad A.M.C.)
Ho le braccia dolenti e illanguidite
per un’insulsa brama di avvinghiare
qualchecosa di vivo, che io senta
più piccolo di me. Vorrei rapire
d’un balzo e portarmi via, correndo,
un mio fardello, quando si fa sera;
avventarmi nel buio, per difenderlo,
dove si lancia il mare sugli scogli;
lottar per lui, finché mi rimanesse
un brivido di vita; poi, cadere
nella più fonda notte, sulla strada,
sotto un tumido cielo inargentato
di luna e di betulle; ripiegarmi
su quella vita che mi stringo al petto -
e addormentarla – e anch’io dormire, infine…
No: sono sola. Sola, mi rannicchio
sopra il mio magro corpo. Non m’accorgo
che, invece di una fronte indolenzita,
io sto baciando come una demente
la pelle tesa delle mie ginocchia.
Milano, 4 giugno 1929
Vicenda d’acque
(Dipinto: “Malcesine, lago di Garda” di Gustav Klimt)
La mia vita era come una cascata
inarcata nel vuoto;
la mia vita era tutta incoronata
di schiumate e di spruzzi.
Gridava la follia d’inabissarsi
in profondità cieca;
rombava la tortura di donarsi,
in veemente canto,
in offerta ruggente,
al vorace mistero del silenzio.
Ed ora la mia vita è come un lago
scavato nella roccia;
l’urlo della caduta è solo un vago
mormorio, dal profondo.
Oh, lascia ch’io m’allarghi in blandi cerchi
di glauca dolcezza;
lascia ch’io mi riposi dei soverchi
balzi e ch’io taccia, infine:
poi che una culla e un’eco
ho trovate nel vuoto e nel silenzio.
Milano, 28 novembre 1929
In riva alla vita
(Dipinto: “Il Carnevale di Arlecchino”, di Joan Mirò)
Ritorno per la strada consueta,
alla solita ora,
sotto un cielo invernale senza rondini,
un cielo d’oro ancora senza stelle.
Grava sopra le palpebre l’ombra
come una lunga mano velata
e i passi in lento abbandono s’attardano,
tanto nota è la via
e deserta
e silente.
Scattano due bambini
da un buio andito
agitando le braccia:
l’ombra sobbalza
striata da un tremulo volo
di chiare stelle filanti.
Gridano le campane,
gridano tutte
per improvviso risveglio,
gridano per arcana meraviglia,
come a un annuncio divino:
l’anima si spalanca
con le pupille
in un balzo di vita.
Sostano i bimbi
con le mani unite
ed io sosto
per non calpestare
le pallide stelle filanti
abbandonate in mezzo alla via.
Sostano i bimbi cantando
con la gracile voce
il canto alto delle campane: ed io sosto
pensandomi ferma stasera
in riva alla vita
come un cespo di giunchi
che tremi
presso un’acqua in cammino.
Milano, 12 febbraio 1931
Prati
(Dipinto: “Limitare del bosco, in primavera” di Georges Seurat)
Forse non è nemmeno vero
quel che a volte ti senti urlare in cuore:
che questa vita è,
dentro il tuo essere,
un nulla
e che ciò che chiamavi la luce
è un abbaglio,
l’abbaglio estremo
dei tuoi occhi malati -
e che ciò che fingevi la meta
è un sogno,
il sogno infame
della tua debolezza.
Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.
Ma noi siamo come l’erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui.
Milano, 31 dicembre 1931
Gioia
(Dipinto: “Il sole”, di Edvard Munch)
Lo splendore del sole
ti abbacinava ieri
dolendo
come la piaga
nelle pupille del cieco.
Ma oggi
lo splendore del sole
non è abbastanza lucente
per la lucentezza tua:
nell’infinito mondo non c’è
che questo tuo splendore
vero.
6 marzo 1932
Il volto nuovo
(Dipinto: “Ragazza con l’orecchino di perla”, di Johannes Vermeer)
Che un giorno io avessi
un riso
di primavera – è certo;
e non soltanto lo vedevi tu, lo specchiavi
nella tua gioia:
anch’io, senza vederlo, sentivo
quel riso mio
come un lume caldo
sul volto.
Poi fu la notte
e mi toccò esser fuori
nella bufera:
il lume del mio riso
morì.
Mi trovò l’alba
come una lampada spenta:
stupirono le cose
scoprendo
in mezzo a loro
il mio volto freddato.
Mi vollero donare
un volto nuovo.
Come davanti a un quadro di chiesa
che è stato mutato
nessuna vecchia più vuole
inginocchiarsi a pregare
perché non ravvisa le care
sembianze della Madonna
e questa le pare
quasi una donna
perduta -
così oggi il mio cuore
davanti alla mia maschera
sconosciuta.
20 agosto 1933
Cose
(Statua di urna greca)
Questo pugno di terra
che raccolse
per me – sul Palatino
la tua mano pura
io verserò nell’urna
di smorta argilla
che sul rosso lido di Selinunte
un pescatore mi donò, sporgendo
il braccio fra i cespugli di lentischio.
E tu non dire
ch’io perdo il senso e il tempo
della mia vita -
se cerco nella sabbia
il sole e il pianto
dei mondi -
se getto nelle cose la mia anima
più grande – e credo
ad immense magie…
10 dicembre 1933
Pensiero
(Dipinto: “Angeli laudantes”, di Edward Burne - Jones)
Avere due lunghe ali
d’ombra
e piegarle su questo tuo male;
essere ombra, pace
serale
intorno al tuo spento
sorriso.
Maggio 1934
Pausa
(Dipinto: “L’onda”, di Paul Gauguin)
Mi pareva che questa giornata
senza te
dovesse essere inquieta,
oscura. Invece è colma
di una strana dolcezza, che s’allarga
attraverso le ore -
forse com’è la terra
dopo uno scroscio,
che resta sola nel silenzio a bersi
l’acqua caduta
e a poco a poco
nelle più fonde vene se ne sente
penetrata.
La gioia che ieri fu angoscia,
tempesta -
ora ritorna a brevi
tonfi sul cuore,
come un mare placato:
al mite sole riapparso brillano,
candidi doni,
le conchiglie che l’onda
lasciò sul lido.
7 dicembre 1934
Sgorgo
(Dipinto: “Colomba della pace”, di Pablo Picasso)
Per troppa vita che ho nel sangue
tremo
nel vasto inverno.
E all’improvviso,
come per una fonte che si scioglie
nella steppa,
una ferita che nel sonno
si riapre,
perdutamente nascono pensieri
nel deserto castello della notte.
Creatura di fiaba, per le mute
stanze, dove si struggono le lampade
dimenticate,
lieve trascorre una parola bianca:
si levano colombe sull’altana
come alla vista del mare.
Bontà, tu mi ritorni:
si stempera l’inverno nello sgorgo
del mio più puro sangue,
ancora il pianto ha dolcemente nome
perdono.
12 gennaio 1935
Brezza
(Dipinto: “Camminata sulla scogliera a Pourville”, di Claude Monet)
Mi ritrovo
nell’aria che si leva
puntuale al meriggio
e volge foglie e rami
alla montagna.
Potessero così
sollevarsi
i miei pensieri un poco ogni giorno:
non credessi mai
spenti gli aneliti
nel mio cuore.
8 giugno 1935
Siamo giunti alla fine di questo penultimo appuntamento con Antonia Pozzi! Vi aspetto il mese prossimo per la chiusura di un percorso che abbiamo iniziato ormai lo scorso settembre.
Sono stata molto felice di aiutarvi a farvi conoscere meglio questa poetessa e sono stata molto contenta nel sapere che anche per alcuni di voi è stata una bella scoperta. Fatemi sapere, come al solito, quali tra le poesie di oggi vi hanno colpito di più!
Settimana prossima gli aggiornamenti saranno un po' particolari: invece dei consueti lunedì e giovedì, pubblicherò di mercoledì e di sabato, perché il 17 è il giorno dedicato all'"Angolo Vintage", mentre il 14... è un giorno speciale e vedrete il perché!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
Ho preferito "Solitudine", sebbene anche le altre siano molto toccanti.
RispondiEliminaCiao Claudia! "Solitudine" ritrae un momento molto intenso... Buona serata!
EliminaGrande poetessa, non è facile scegliere una delle sue poesie.
RispondiEliminaSaluti a presto.
Ciao! Spero che comunque tu sia riuscito ad individuare le tue preferite :-)
Eliminatutte belle ed intense, Prati è tra le mie preferite.
RispondiEliminaForse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza.
ciao Silvia :)
Ciao Angela! Anche a me piace tanto questo passo :-)
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