giovedì 30 novembre 2017

LA DONNA SCONFITTA

Un'analisi di "Eveline" di James Joyce




Le donne della letteratura e la figura paterna #5



Cari lettori,
per la nostra rubrica “Donne straordinarie”, oggi ci occupiamo di una figura sofferta e difficile che non riesce a coronare i suoi sogni: la protagonista del racconto Eveline, una delle tante storie che James Joyce inserito nella sua raccolta Dubliners.

Eveline, una ragazza di 19 anni che vive a Dublino, è stufa della sua vita e di tutto quello che lo circonda. Non riesce a fare niente se non rimanere immobile, riflettere, immaginare. È un momento molto importante per lei: deve prendere un’importante decisione, perché un uomo che lei ama, Frank, le ha chiesto di andare con lui a Buenos Aires e di sposarlo.

Si tratterebbe sicuramente di una bella proposta, se Eveline non avesse un grave problema: la sua famiglia. Ella sente soprattutto di non poter lasciare suo padre: è sempre ubriaco, non torna mai a casa, è violento, picchia i suoi fratelli e la minaccia.

Nonostante egli non sia il genere di padre che ogni figlia vorrebbe avere, Eveline non è capace di lasciarlo solo ed a volte sente che non può sopportare la sola idea di abbandonarlo. Inoltre, sua madre è morta molti anni prima chiedendole di occuparsi della sua famiglia e di non lasciare mai la casa. Eveline vorrebbe andare via, perché è spaventata dall’idea di diventare come sua madre, che è diventata pazza ed è morta a causa delle numerose violenze perpetrate dal padre.

In questo senso, noi capiamo che la scelta migliore per lei sarebbe probabilmente andare via con Frank e farsi una propria famiglia. Nonostante il buon senso suggerisca facilmente questa scelta, Eveline si rivela incapace di lasciare Dublino, la sua casa, il suo passato: non riesce nemmeno a prendere la barca, e, mentre Frank va via, ella rimane immobile alla stazione, incapace perfino di muovere gli occhi. 

Ci potrebbero essere molte ragioni per un comportamento del genere, la più probabile delle quali è l’importantissimo collegamento tra Eveline e la sua famiglia, specialmente il padre.: ella vi è così attaccata da essere incapace di scegliere la sua vita futura. Perché la nostra protagonista finisce per essere sconfitta da se stessa e dalle sue paure?



Perché continua a provare un invisibile affetto per il padre



Dovremmo innanzitutto considerare che Eveline, essendo una giovane ragazza, dipende strettamente dalla sua famiglia: sarà così facile capire come suo padre, essendo tutto ciò che rimane dei suoi genitori, sia così importante per lei. In effetti, ella non lo giudica così male; ella, invece, prova in ogni modo a giustificarlo, a trovare una motivazione per il suo comportamento.

Si convince infatti che egli non è così crudele, così violento come sembra, e questo perché non ha mai attaccato lei, ma “solo” sua madre ed i suoi fratelli. Tutto ciò, ovviamente, non ha un senso logico o razionale, perché è un dato di fatto che Eveline soffra molto per l’atteggiamento del padre, che comunque utilizza contro di lei un’accanita violenza verbale.

L’affetto che lei prova per il padre ci sembra sempre più difficile da capire, ma forse, dal punto di vista puramente narrativo, si possono trovare delle motivazioni di fondo.

Innanzitutto, dobbiamo ricordarci che Joyce è stato molto influenzato dalle teorie di Freud e che in questa storia egli espone, a suo modo, il complesso di Edipo, che ha a che fare con lo stretto legame che può intercorrere tra madre e figlio, o, in questo caso, tra padre e figlia. Questo complesso crea una sorta di dipendenza tra le due figure, che si ritrovano davvero incapaci di restare l’una senza l’altra. In questa storia, essa diventa quasi una patologia, perché impedirà una serena crescita di Eveline.

Il padre fa di tutto per tenerla in casa (probabilmente più come una serva che come una figlia), litiga con Frank e non fa davvero nulla per cambiare le proprie abitudini.
Tuttavia Eveline, a sua volta, non si oppone mai realmente a lui: non la troveremo mai discutere o anche solo parlare di qualcosa di serio con suo padre, come fa ogni ragazza. È completamente passiva e dipendente, e questo è quello che la distrugge.



Perché la sua difficile ricerca dell’indipendenza incontra molti ostacoli




Indipendenza” è una parola che sembra spaventare gli abitanti di Dublino più di chiunque altro. Questo avviene probabilmente perché essi, secondo Joyce, hanno paura dei cambiamenti, sentono sempre che il futuro sarà sempre peggio del passato ed hanno paura di lasciare andare qualunque cosa, persino quello che odiano o dal quale desiderano liberarsi.


Questo è esattamente quello che pensa Eveline quando pensa alla probabile fuga con Frank: la sua vita è stata difficile e dura, e forse ella ha anche desiderato una simile proposta; d’altra parte, non si sente sicura di stare facendo la scelta giusta.
Ella si accorge che, dopotutto, questa è stata la sua vita, ed è tutto quello che ha di certo: ora sta per iniziare una nuova avventura, a proposito della quale nessuno è in grado di dirle se sarà migliore o peggiore del suo passato.


Spesso, nel racconto, ella nomina la sua infanzia, con toni affettuosi e nostalgici.
Gli anni in cui Eveline è stata bambina vengono idealizzati nella sua mente.
Si tratta, com’è ovvio, del tipico atteggiamento dei giovanissimi che stanno per lasciare casa e diventare adulti.
Noi lettori percepiamo che non è stato poi un periodo così bello e felice, perché suo padre era comunque violento, ma lei lo considera tale.
Il suo più grande desiderio, all’inizio del racconto, è probabilmente quello di tornare bambina, per non dover scegliere se restare o andare via.

Ancora una volta, troviamo un tipico atteggiamento di chi soffre del complesso di Edipo: il desiderio, da parte di una figlia, di vedere ancora suo padre con gli occhi di una bambina, con innocenza, senza sapere che genere di persona egli sia veramente.

Questo è il motivo per cui capiamo che Eveline non sarà realmente in grado di seguire Frank: è così che la sua ricerca dell’indipendenza si conclude con un fallimento.



Perché non risolve il conflitto dentro di sé tra l’amore per Frank ed il dovere nei confronti della famiglia



Frank è un uomo che offre ad Eveline la possibilità di una nuova vita con lui, come sua moglie, a Buenos Aires. Se ci concentriamo sulla scelta che l’autore ha fatto quando gli ha dato questo nome, una cosa che non è mai senza significato nello stile di Joyce, capiamo subito che la sua proposta è sincera e che non c’è alcun motivo di dubitare di lui: tutto, nella sua persona, fa pensare ad onestà e sincerità.
Eveline, però, solo in apparenza si fida di lui: molto spesso, al contrario, tenta di convincersene.
Come già detto, ella prova un forte senso di colpa nei confronti della madre e, di conseguenza, di tutta la famiglia, a causa della promessa che sta per infrangere.

In definitiva, possiamo considerare la vicenda trattata da tre punti di vista: il padre di Eveline, Frank e la nostra protagonista.
Il primo, come già detto, non ha alcuna simpatia per il ragazzo e tenta il più possibile di tenere la figlia a casa.
Frank, dal canto suo, non dà alcuna importanza alla famiglia della ragazza, ma la ama per quello che è. Egli è probabilmente l’unica persona che ama Eveline, e non la sua immagine di serva di famiglia, figlia, lavoratrice, ecc., che le altre persone vedono in lei.
Dovremmo infine considerare il punto di vista di Eveline, che è ancora più complesso, perché la ragazza sembra divisa tra due punti di vista: da una parte il padre, che rappresenta la sua infanzia e la sua vita finora, e Frank dall’altra, che è la promessa del futuro e di una nuova vita adulta.

A differenza di Nora di "Casa di bambola", che comprende che sia il padre che il marito l’hanno trattata allo stesso modo e decide di abbandonarli entrambi per poter vivere per conto proprio, Eveline deve scegliere tra due uomini diversi, che le offrono due vite differenti.



Perché la sua paralisi finale è dovuta al suo eccessivo attaccamento



L’ultima parte del racconto ci presenta Eveline e Frank in stazione, apparentemente decisi a partire entrambi per Buenos Aires. La nostra protagonista, tuttavia, è terrorizzata: non fa che pensare al proprio dovere, alla sua famiglia, a ciò che sta per lasciarsi alle spalle.

È per questo motivo che, alla fine della storia, ella è persino incapace di muoversi, e lascia che Frank parta senza di lei.

Eveline, come all’inizio della storia, è immobile: riesce solo a pensare, e di certo non in modo logico e razionale. È per quello che nessuno di noi lettori può affermare che ella effettivamente scelga: ella ha così paura di una sua decisione che non riesce a fare nulla.




Questo post conclude un ciclo di cinque episodi all’interno della rubrica “Donne straordinarie”, iniziato, come già detto, con Nora di Casa di bambola e proseguito con Micol, la protagonista della tragedia Saul, e con le due figlie di Agamennone, Ifigenia ed Elettra.

Si tratta di cinque capitoli di un’indagine sul rapporto tra padre e figlia nella letteratura. Ho voluto dare spazio a questa tematica perché penso che sia fondamentale per la crescita di una giovane donna, e le eroine di cui abbiamo parlato lo dimostrano.


Eveline presenta una visione estremamente pessimista della relazione tra padre e figlia, persino peggiore delle opere in cui una di queste due persone muore. In effetti, Ifigenia sceglie di immolarsi per il bene di suo padre, ma lo fa per delle profonde motivazioni, dopo aver riflettuto; potremmo dire la stessa cosa per Elettra, che sceglie deliberatamente di trascorrere la sua vita ad onorare la memoria del padre morto.
Micol e Nora, dal canto loro, dopo la morte dei loro padri, decidono di costruirsi, a modo loro, una nuova vita. Per Eveline, invece, la morte è spirituale: il sacrificio è, in un certo senso, forzato, perché non può fare nient’altro; la sua paralisi finale lascia aperte alcune importanti questioni su come si sia sviluppato il rapporto padre/figlia nel XX secolo ed oltre.


Vi ringrazio molto per aver letto questo lungo post (e gli altri di questo ciclo). Sono ancora indecisa su come strutturare questa rubrica prossimamente.

Potrei tornare ad occuparmi di scrittrici che amo, come ho fatto con Sveva Casati ModignaniElena Ferrante ed  Oriana Fallaci.

Potrei indagare nuovamente i rapporti familiari, stavolta riferendomi ad opere contemporanee.

Potrei, infine, iniziare un ciclo completamente nuovo. Io sarei orientata verso quest'ultima ipotesi, ed avrei già un'idea per il 2018, magari con cadenza mensile o bimestrale...ma vi farò sapere più in là, e poi mi interessa il vostro parere!

Ogni consiglio in questo senso è ovviamente ben accetto!
Al prossimo post

lunedì 27 novembre 2017

VISITARE L'EGITTO...A MILANO

Una mostra da non perdere al Mudec




Cari lettori,
ritorna la nostra rubrica “Eventi culturali”, e questa volta vi faccio fare un salto nel passato piuttosto consistente. Oggi vi racconto, infatti, le mie impressioni dopo aver visitato la mostra “Egitto – La straordinaria scoperta del faraone Amenofi II”, presso il Mudec, Museo delle Arti e delle Culture, a Milano.


Forse qualcuno di voi si ricorderà che, qualche settimana fa, ho visitato questo museo in occasione della mostra-filmato dedicata a Klimt.

L’esposizione di cui vi parlo oggi è più tradizionale e nel corso della visita si ha proprio l’impressione di esplorare la sezione di un museo egizio. Ecco tutto quello che ho particolarmente apprezzato!



Il “protagonista” della mostra



Le dinastie di faraoni egiziani sono state molteplici, a partire dal periodo più antico fino ad arrivare all’epoca dei Tolomei, quando, con la morte di Cleopatra, l’Egitto è diventato terra di conquista per i Romani.

C’è, tuttavia, un periodo che si può definire “l’epoca d’oro” per i faraoni, e proprio ad esso appartiene colui che possiamo considerare il protagonista dell’esposizione, ovvero Amenofi II.
Egli è figlio di Thuthmosis III, un sovrano passato alla storia per le numerose battaglie compiute, per la sua sete di potere e per il desiderio di espansione.


Amenofi II si ritrova tra le mani un regno molto più esteso dei suoi predecessori e sceglie di mettere in secondo piano la politica estera a favore di quella interna.
A poco a poco, infatti, egli crea una nuova classe dirigente, composta però da persone appartenenti a famiglie che già suo padre prediligeva, e consolida il regno con altre abili mosse politiche.

Visitando la mostra si possono trovare busti, statue, steli ed altri oggetti che ritraggono il celebre faraone ed il padre. È l’ultima parte dell’esposizione, però, a rivelare il segreto più grande.



L’ultimo rifugio del Faraone



Il co-protagonista di questa mostra è Victor Loret, egittologo francese vissuto nel XIX secolo. È stato proprio lui a scoprire prima la tomba in cui si trovava il Faraone, insieme a tre suoi parenti.

L’esposizione dedica un discreto spazio a Loret ed alle sue ricerche, lasciando intuire quanto lo studioso amasse l’antico Egitto. Essendo infatti sprovvisto dei moderni metodi informatici, il professore scriveva interi quaderni ricchi di appunti e di disegni, e dipingeva addirittura degli acquerelli con le trascrizioni dei geroglifici.

L’ultima sezione della mostra è dedicata alla ricostruzione della tomba, in un’apposita sala sulle cui pareti sono riportate le medesime iscrizioni che l’egittologo si è trovato davanti prima della sua sensazionale scoperta.



Sono stati ritrovati anche alcuni oggetti del corredo funerario, come una sorta di bastone colorato (ancora molto pigmentato), una classica croce egizia, una statua a forma di pantera nera ed alcune piccole “dee serpente” in terracotta, che rivestivano la funzione di proteggere il Re.



Il culto del’Aldilà in Egitto



Com’è facile immaginare, gran parte dei reperti esposti fa parte dei corredi funebri di quella che era la classe sociale dominante del tempo.

Moltissime sono le iscrizioni funerarie, che ritraggono il defunto in compagnia della famiglia e degli dei, ma ci sono anche papiri ed altri oggetti che costituiscono un equivalente degli odierni ex voto. Ovviamente non mancano i sarcofagi, riccamente decorati, e ci sono perfino le mummie!



Uno spazio particolare è riservato ai vasi utilizzati per il processo di mummificazione. Ognuno di essi era destinato a custodire un organo del defunto, e per ogni parte del corpo era stato designato un dio protettore, che veniva scolpito sul coperchio del vaso.



La vita quotidiana delle donne egizie



Alcune teche della mostra mi hanno colpito particolarmente perché dimostrano che la passione femminile per la moda e per la bellezza non è davvero nata ieri, e che le nostre “antenate” dell’antico Egitto erano già interessate ad apparire al meglio.

Qui sono conservati alcuni bellissimi gioielli, re-infilati da alcuni artigiani del 1800. Tra i più belli un monile a forma di giglio, alcuni a forma di conchiglie e moltissime pietre colorate.



In questa teca ci sono invece degli accessori per il trucco. Si trova davvero di tutto, dai bastoncini per stendere un primitivo eye-liner ai pigmenti colorati ai bellissimi vasetti usati per conservare i prodotti.



Una visita per i più piccoli, con Geronimo Stilton



Accanto ai classici pannelli illustrativi a disposizione dei visitatori, la mostra propone anche un percorso per i bambini, insieme ad un personaggio molto amato dai più piccoli: Geronimo Stilton. Le illustrazioni con il famoso topo detective sono molto chiare e simpatiche, anche per gli adulti.




La mostra resterà al Mudec fino al 7 gennaio!
Avete già visitato l’esposizione? Pensate di andare?
Vi invito tutti a passare una mezza giornata tra faraoni, piramidi e iscrizioni!
Fatemi sapere se vi ho incuriosito!
Grazie per la lettura e al prossimo post :-)


giovedì 23 novembre 2017

IL VIAGGIO DI ENEA

Al Teatro Carcano, il dramma delle migrazioni dall'antichità ad oggi




Cari lettori,
nuovo appuntamento con i nostri “Consigli teatrali” e con la stagione di prosa 2017-2018 al Teatro Carcano!


Lo spettacolo che vi voglio presentare oggi si intitola Il viaggio di Enea ed è tratto da un testo di Olivier Kemeid, che a sua volta si ispira all’Eneide virgiliana.

Sono rimasta molto colpita da questa rappresentazione, dai toni intensi e drammatici, ma, allo stesso tempo, pieni di speranza.



L’Enea contemporaneo



Una delle caratteristiche più interessanti di questa rappresentazione è il fatto che la storia raccontata è, ad un tempo, classica e contemporanea: possiamo immaginare che gli eventi si stiano svolgendo a Troia, così come in uno dei molti Stati tuttora devastati da un conflitto.

Qualunque sia la città che noi immaginiamo, la vicenda non cambia. Tutti gli abitanti sono appena andati a letto dopo una festa, stanchi ma sereni. Nemmeno un’ora dopo, però, essi sentono dei forti rumori, si svegliano in preda al panico ed assistono ad un vero e proprio incubo: la città è in fiamme ed i loro concittadini stanno fuggendo per non essere torturati o uccisi.

Il protagonista, Enea, non ha, come nel poema classico, un dio che gli indichi la strada giusta da percorrere. Egli pensa solo alla sua sopravvivenza, a quella della moglie Creusa (che perderà quasi subito), del figlio Ascanio, del padre Anchise; riuscirà ad andarsene dalla città ormai semidistrutta solo grazie alla sua lucidità, al suo spirito di sopravvivenza ed alle circostanze che lo favoriscono.


Se nell’Eneide virgiliana l’immagine di Enea con il figlio in braccio ed il padre sulle spalle è simbolica, e rimanda alle molte generazioni che si sono susseguite dopo la fondazione di Roma, in questo spettacolo è solo il ritratto di un uomo disperato, che non ha certezze a parte quella di essere vivo e non sa per quanto tempo ancora potrà esserlo.



I ricchi ed i poveri: il metateatro



Appena fuggiti, Enea ed i suoi riescono ad approdare su una spiaggia utilizzata come luogo di svago per persone di classe agiata.
Essi raggiungono l’albergo di lusso che ospita i turisti e chiedono aiuto, ma i proprietari, terrorizzati all’idea che i nuovi arrivati possano portare via le provviste e spaventare la clientela, non si mostrano disponibili. Enea ed i suoi compagni, allora, prendono da soli quello di cui hanno bisogno e fuggono.


A questo punto della storia, la narrazione si interrompe, sul palco si accendono le luci di servizio e tutti gli attori espongono al pubblico i dubbi che hanno sulla scena che hanno appena recitato. Essi sottolineano che non è colpa né di Enea e dei suoi concittadini, che sono incattiviti a causa delle disgrazie patite, né dei proprietari dell’albergo, che non sono sostenuti dalle autorità.

Questo originale ed interessante momento di meta-teatro serve allo spettatore per comprendere il messaggio di fondo dello spettacolo: la tragedia delle migrazioni è corale e non ha né “buoni” né “cattivi”. L'unica protagonista è soltanto una grande disperazione che toglie umanità sia a chi è costretto ad andarsene sia a chi si ritrova a ricevere i migranti, ma non ha i mezzi per farlo.



Didone e la tragedia dei centri d’accoglienza



Un personaggio sicuramente fondamentale per questo spettacolo, così come lo era nell’Eneide virgiliana, è quello di Didone.
Esattamente come nel poema epico, ella è una regina che è stata spodestata dal fratello e che è stata costretta ad andarsene, insieme ai sudditi che le erano fedeli.

Una volta arrivata in terra straniera, però, ella non deve confrontarsi, come la sua omonima del mondo classico, con il re di quel luogo, bensì con i responsabili dei centri d’accoglienza, che rappresentano lo Stato e le sue (troppe) regole.

Didone si trova in trappola: da mesi è costretta a restare al centro ed a vivere di espedienti; non riesce ad ottenere un permesso di soggiorno, né tantomeno un lavoro; l’unica possibilità di uscita le viene fornita dalla malavita organizzata, che vorrebbe inserirla nel mondo dello spaccio o in quello della prostituzione.


La rappresentazione, pur non appartenendo alla categoria del teatro “di denuncia”, riesce comunque a mostrare le molte difficoltà di gestione degli Stati più ricchi nei confronti della tragedia dei migranti, le cui fragili speranze si affievoliscono giorno dopo giorno.



Il ritrovamento della pace



Più la rappresentazione prosegue e più lo spettatore ha l’impressione che Enea si ritrovi in una sorta di guerra contro i suoi simili.

Egli, infatti, lotta per tutta la durata dello spettacolo: contro i rappresentanti dello Stato, contro gli abitanti delle città che lo ricevono, perfino contro altri disperati come lui.


L’Enea contemporaneo non raggiunge la nuova patria perché guidato dagli dei, non dà inizio ad una nuova guerra, non fa l’impossibile per diventare il nuovo re del luogo e non fonda nessuna grande città.

Egli, insieme a quei pochi amici che sono riusciti a sopravvivere, chiede semplicemente di poter lavorare e di dimenticare le morti ed il sangue. Dignità e pace sembrano gli unici desideri del nostro protagonista e di ogni migrante dei giorni nostri.


Nello scrivere questa storia, Olivier Kemeid si è ispirato alle disavventure dei suoi genitori, costretti a viaggiare dall’Egitto fino al Canada.

Questo spettacolo dà un’interpretazione del tutto nuova al personaggio di Enea ed alle sue vicende, molto originale ed indubbiamente attuale.




Lo spettacolo resterà in scena fino al 3 dicembre!
Spero di avervi interessati ed incuriositi. Credo che valga la pena di riflettere, almeno per una sera, su queste tematiche così delicate e di forte attualità.
Avete già sentito parlare dello spettacolo? L’avete già visto a Pordenone o a Roma?
Ci sono altri spettacoli sul tema delle migrazioni che vorreste farmi conoscere?
Fatemi sapere!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


lunedì 20 novembre 2017

TAG: LE COSE CHE MI PIACCIONO




Cari lettori,
è di nuovo il momento di un post un po’ più personale. Per la nostra rubrica “Tag&Booktag”, ho deciso di riprendere un questionario che è stato proposto da Alice del blog "Some books are", che saluto e ringrazio.


L’idea alla base di questo TAG è semplice: per ogni lettera dell’alfabeto, elencherò qualcosa che mi piace, che mi interessa, che fa parte della mia vita per diversi motivi.
Spero che con questo post potremo conoscerci meglio!


A – APPARTAMENTO



Qualche tempo fa ho deciso di andare a vivere da sola.
Sono sempre nella stessa cittadina dove vivono ancora i miei genitori e mio fratello, ma ho cambiato quartiere.
Nell’estate del 2015 ho cominciato a sistemare il mio nuovo appartamento, e dal giugno del 2016 abito qui.


B – BASSOTTO



Otto è il cane dei miei zii, che abitano nella via nella quale mi sono da poco trasferita. Io spesso sono la sua dog-sitter. Quando è stato adottato era molto timido ed aveva paura di qualsiasi cosa, ma ora è un vero coccolone!
Ho già parlato di lui qui.


C – CUCINA



Non posso ancora definirmi proprio una buona cuoca, ma sto imparando! Ho già organizzato qualche cena a casa mia, e mi sembra che gli ospiti abbiano apprezzato.
A me piace molto cucinare (e mangiare) dolci di ogni tipo; i miei amici, invece, vanno matti per delle tartine a base di scamorza, speck e rucola che ormai preparo spesso perché sono molto richieste!


D – DANZA



Ho iniziato quasi per caso a praticare danza moderna a 13 anni per alcuni problemi alla schiena ed è stato l’inizio di una lunga e bellissima storia. Sono ancora lì, nella scuola di danza della mia adolescenza. Noi “veterane” siamo ormai in numero abbastanza ridotto, ma siamo molto legate dalle tante emozioni che abbiamo condiviso.
Tre anni fa ho pensato di voler apprendere altri tipi di ballo, così ho aggiunto una terza sera a settimana di lezione, optando per la salsa figurata. Dopo due anni, però, ho preferito cambiare ed ora seguo un corso divertentissimo, che coniuga i passi base dei balli latino-americani con un po’ di aerobica.


E – ESTATE



Nonostante l’estate non sia più composta da tre mesi di vacanza come quando andavamo a scuola, e per quanto quest’anno lavorare senza condizionatore mi abbia messo a dura prova, l’estate sarà sempre la mia stagione preferita.
In questo post omaggio i mesi più caldi con una serie di dipinti e poesie.


F – FIORI




Prima di trasferirmi in appartamento, vivevo in una villetta con un bellissimo giardino, e spesso, da bambina, ho aiutato mio padre a fare l’orto ed a piantare i fiori. Da allora ho sempre avuto una vera passione per tutto ciò che è floreale. Adoro le fantasie fiorate su tutto, dai vestiti ai tessuti casalinghi. Quando è primavera, poi, la mia pagina Instagram (seguitemi qui) si riempie dei fiori del giardino di papà.
Adoro le ortensie.


G – GUIDARE




Ho fatto la patente subito, quando avevo 18 anni compiuti da pochi mesi. Non mi sono sempre sentita sicura guidando, e ci ho messo un po’ per far diventare l’uso della macchina una routine. Comunque, adesso trovo perfino rilassante percorrere le strade della mia cittadina quando è ormai sera e c’è poca gente in giro.
Guido una Fiesta del 2005, e guai a chi mi propone di cambiarla!


H – HARK! THE HERALD ANGELS SING




Il Natale sarà sempre la mia festività preferita, ed adoro questa canzone, sia nella versione tradizionale che in quella reinterpretata da Mariah Carey.
Mi piace molto decorare la casa, riunire la famiglia e gli amici, ascoltare le canzoni della tradizione e girare per mercatini.
Per me il Natale, più che un’occasione di festa, è una sorta di stato d’animo, e ne parlo meglio in questo post dedicato a “Canto di Natale” di Charles Dickens.


I – IMPRESSIONISMO




Mi piace moltissimo visitare mostre, e sicuramente tra i miei pittori preferiti ci sono gli impressionisti. L’anno scorso ho molto apprezzato la mostra di Manet e, come sapete, spesso mi piace accompagnare i post dedicati a poesie e canzoni con dei dipinti in tema.


L – LIBRI




Credo che per noi Book bloggers la scelta per la lettera “L” sia piuttosto scontata, no? Ho iniziato a leggere da piccola e non ho più smesso. La lettura resterà sempre una parte importante della mia vita ed uno dei modi migliori di impiegare il proprio tempo libero. Se vi va, date un’occhiata alla sezione "Letture a tema..." del mio blog!


M – MILANO




Abito in provincia, ma vado sempre volentieri a fare un giro in città. Milano per me è una bellissima città; forse non affascina subito come Roma o Firenze, ma, con il tempo, ti ruba il cuore. È un posto ricco di iniziative culturali, e, ovviamente, è anche la patria dello shopping!


N – NEK




Filippo Neviani, in arte Nek, è il mio cantante preferito dal ‘97, ovvero da quando ero una specie di pupattola tra la seconda e la terza elementare.
La mia passione per la musica è in gran parte merito suo.
Lui per me è come un vecchio amico del quale ascolti i saggi consigli ogni volta che hai bisogno di un momento di tranquillità.
Ho parlato di una sua canzone qui.


O – ORECCHINI




L’unica cosa che io abbia mai collezionato è la bigiotteria. In casa ho ormai due cassettoni pieni di collane, bracciali ed orecchini a poco prezzo, ed ormai non entro più in negozi come Bijoux Brigitte o Accessorize perché possiedo già davvero di tutto. Almeno, però, gli amici sanno che cosa regalarmi.


P – PALCOSCENICO




Vivo il palcoscenico da protagonista con la danza e da spettatrice con il teatro. Le mie due tesi sono state entrambe di argomento drammaturgico, ed anche sul blog c’è un’ampia sezione dedicata ai "Consigli teatrali". Probabilmente il mio argomento preferito in materia di studi saranno sempre le interazioni tra letteratura e teatro.


Q - QUADERNO




Ho iniziato a scrivere con dei quaderni che per me erano dei diari. Ho sempre desiderato mettere su carta le mie emozioni ed i miei interessi. Il blog è nato anche da lì.

Scrivere resta sempre uno dei miei modi preferiti per aprire il mio cuore e sfogarmi.


R – ROSSO




Non è solo il mio colore preferito, ma è anche uno stile di vita. Da quando avevo comprato un cappotto rosso ai tempi dell’Università e le mie compagne mi avevano soprannominato, appunto, “Cappottino rosso”, ho capito che si trattava del mio colore.

È anche il titolo di un album di  Taylor Swift  Red, un disco che parla principalmente di passione ed amore tragico ed è il più amato dai fan italiani. Io faccio eccezione perché preferirò sempre Speak now.


S – SILENTE




Albus Silente è uno dei miei personaggi preferiti in assoluto della saga di Harry Potter. Credo che il suo rapporto con il protagonista Harry sia qualcosa di unico nel suo genere. Certo, non è una figura esente da difetti, ma grazie a lui il protagonista impara ad elaborare i suoi pesanti lutti ed a diventare una persona adulta che affronta da sola i propri problemi.

Parlo meglio della saga di Harry Potter qui.


T – TENERIFE SEA




In questa canzone di Ed Sheeran c’è una bellissima frase:

Dovesse essere questa l’ultima cosa che vedo,
voglio che sappiate che è abbastanza per me,
perché tutto quello che siete
è tutto quello di cui avrò sempre bisogno.

È così che mi sento quando penso alla mia famiglia, ai miei amici ed a tutte le persone importanti per me.


U – UNIVERSITÀ




Milano è importante per me anche perché ho frequentato per oltre cinque anni l’Università Cattolica, laureandomi prima in Lettere e poi in Filologia Moderna.

I ricordi dell’Università, a parte qualche delirante giorno di esame, sono tutti più che belli. Gli studi umanistici sono stati fondamentali per me e per quello che sono diventata giorno dopo giorno.

Anche se ho avuto tante esperienze lavorative (precarie ma) soddisfacenti, a volte provo nostalgia per quel periodo.


V – VARAZZE




La casetta al mare di famiglia è proprio in questa cittadina ligure. Per me andare lì è la migliore delle vacanze possibili e, anche per pochi giorni, è un’occasione di relax.
Qui mostro qualche foto.


Z – ZUCCA




Nonostante il mio amore per l’estate, devo ammettere che anche l’autunno ha i suoi aspetti interessanti, come i colori delle foglie che cadono, il sole caldo e questo dolcissimo ortaggio, che mi piace cucinare in molti modi diversi.
In questo post parlo un po’ meglio della stagione autunnale.




Ora è il vostro turno!
Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate delle mie risposte e se abbiamo qualcosa in comune.
Ovviamente, come al solito, siete liberissimi di “rubare” l’idea!
Grazie per la lettura ed al prossimo post :-)