Un'analisi di "Eveline" di James Joyce
Le
donne della letteratura e la figura paterna #5
Cari
lettori,
per
la nostra rubrica “Donne straordinarie”, oggi ci occupiamo di una
figura sofferta e difficile che non riesce a coronare i suoi sogni:
la protagonista del racconto Eveline,
una delle tante storie che James Joyce inserito nella sua raccolta
Dubliners.
Eveline,
una ragazza di 19 anni che vive a Dublino, è stufa della sua vita e
di tutto quello che lo circonda. Non riesce a fare niente se non
rimanere immobile, riflettere, immaginare. È un momento molto
importante per lei: deve prendere un’importante decisione, perché
un uomo che lei ama, Frank, le ha chiesto di andare con lui a Buenos
Aires e di sposarlo.
Si
tratterebbe sicuramente di una bella proposta, se Eveline non avesse
un grave problema: la sua famiglia. Ella sente soprattutto di non
poter lasciare suo padre: è sempre ubriaco, non torna mai a casa, è
violento, picchia i suoi fratelli e la minaccia.
Nonostante egli non
sia il genere di padre che ogni figlia vorrebbe avere, Eveline non è
capace di lasciarlo solo ed a volte sente che non può sopportare la
sola idea di abbandonarlo. Inoltre, sua madre è morta molti anni
prima chiedendole di occuparsi della sua famiglia e di non lasciare
mai la casa. Eveline vorrebbe andare via, perché è spaventata
dall’idea di diventare come sua madre, che è diventata pazza ed è
morta a causa delle numerose violenze perpetrate dal padre.
In
questo senso, noi capiamo che la scelta migliore per lei sarebbe
probabilmente andare via con Frank e farsi una propria famiglia.
Nonostante il buon senso suggerisca facilmente questa scelta, Eveline
si rivela incapace di lasciare Dublino, la sua casa, il suo passato:
non riesce nemmeno a prendere la barca, e, mentre Frank va via, ella
rimane immobile alla stazione, incapace perfino di muovere gli occhi.
Ci
potrebbero essere molte ragioni per un comportamento del genere, la
più probabile delle quali è l’importantissimo collegamento tra
Eveline e la sua famiglia, specialmente il padre.: ella vi è così
attaccata da essere incapace di scegliere la sua vita futura. Perché
la nostra protagonista finisce per essere sconfitta da se stessa e
dalle sue paure?
…Perché
continua a provare un invisibile affetto per il padre
Dovremmo
innanzitutto considerare che Eveline, essendo una giovane ragazza,
dipende strettamente dalla sua famiglia: sarà così facile capire
come suo padre, essendo tutto ciò che rimane dei suoi genitori, sia
così importante per lei. In effetti, ella non lo giudica così male;
ella, invece, prova in ogni modo a giustificarlo, a trovare una
motivazione per il suo comportamento.
Si
convince infatti che egli non è così crudele, così violento come
sembra, e questo perché non ha mai attaccato lei, ma “solo” sua
madre ed i suoi fratelli. Tutto ciò, ovviamente, non ha un senso
logico o razionale, perché è un dato di fatto che Eveline soffra
molto per l’atteggiamento del padre, che comunque utilizza contro
di lei un’accanita violenza verbale.
L’affetto
che lei prova per il padre ci sembra sempre più difficile da capire,
ma forse, dal punto di vista puramente narrativo, si possono trovare
delle motivazioni di fondo.
Innanzitutto, dobbiamo ricordarci che
Joyce è stato molto influenzato dalle teorie di Freud e che in
questa storia egli espone, a suo modo, il complesso di Edipo, che ha
a che fare con lo stretto legame che può intercorrere tra madre e
figlio, o, in questo caso, tra padre e figlia. Questo complesso crea
una sorta di dipendenza tra le due figure, che si ritrovano davvero
incapaci di restare l’una senza l’altra. In questa storia, essa
diventa quasi una patologia, perché impedirà una serena crescita di
Eveline.
Il
padre fa di tutto per tenerla in casa (probabilmente più come una
serva che come una figlia), litiga con Frank e non fa davvero nulla
per cambiare le proprie abitudini.
Tuttavia
Eveline, a sua volta, non si oppone mai realmente a lui: non la
troveremo mai discutere o anche solo parlare di qualcosa di serio con
suo padre, come fa ogni ragazza. È completamente passiva e
dipendente, e questo è quello che la distrugge.
…Perché
la sua difficile ricerca dell’indipendenza incontra molti ostacoli
“Indipendenza”
è una parola che sembra spaventare gli abitanti di Dublino più di
chiunque altro. Questo avviene probabilmente perché essi, secondo
Joyce, hanno paura dei cambiamenti, sentono sempre che il futuro sarà
sempre peggio del passato ed hanno paura di lasciare andare qualunque
cosa, persino quello che odiano o dal quale desiderano liberarsi.
Questo
è esattamente quello che pensa Eveline quando pensa alla probabile
fuga con Frank: la sua vita è stata difficile e dura, e forse ella
ha anche desiderato una simile proposta; d’altra parte, non si
sente sicura di stare facendo la scelta giusta.
Ella
si accorge che, dopotutto, questa è stata la sua vita, ed è tutto
quello che ha di certo: ora sta per iniziare una nuova avventura, a
proposito della quale nessuno è in grado di dirle se sarà migliore
o peggiore del suo passato.
Spesso,
nel racconto, ella nomina la sua infanzia, con toni affettuosi e
nostalgici.
Gli
anni in cui Eveline è stata bambina vengono idealizzati nella sua
mente.
Si
tratta, com’è ovvio, del tipico atteggiamento dei giovanissimi che
stanno per lasciare casa e diventare adulti.
Noi
lettori percepiamo che non è stato poi un periodo così bello e
felice, perché suo padre era comunque violento, ma lei lo considera
tale.
Il
suo più grande desiderio, all’inizio del racconto, è
probabilmente quello di tornare bambina, per non dover scegliere se
restare o andare via.
Ancora
una volta, troviamo un tipico atteggiamento di chi soffre del
complesso di Edipo: il desiderio, da parte di una figlia, di vedere
ancora suo padre con gli occhi di una bambina, con innocenza, senza
sapere che genere di persona egli sia veramente.
Questo
è il motivo per cui capiamo che Eveline non sarà realmente in grado
di seguire Frank: è così che la sua ricerca dell’indipendenza si
conclude con un fallimento.
…Perché
non risolve il conflitto dentro di sé tra l’amore per Frank ed il
dovere nei confronti della famiglia
Frank
è un uomo che offre ad Eveline la possibilità di una nuova vita con
lui, come sua moglie, a Buenos Aires. Se ci concentriamo sulla scelta
che l’autore ha fatto quando gli ha dato questo nome, una cosa che
non è mai senza significato nello stile di Joyce, capiamo subito che
la sua proposta è sincera e che non c’è alcun motivo di dubitare
di lui: tutto, nella sua persona, fa pensare ad onestà e sincerità.
Eveline,
però, solo in apparenza si fida di lui: molto spesso, al contrario,
tenta di convincersene.
Come
già detto, ella prova un forte senso di colpa nei confronti della
madre e, di conseguenza, di tutta la famiglia, a causa della promessa
che sta per infrangere.
In
definitiva, possiamo considerare la vicenda trattata da tre punti di
vista: il padre di Eveline, Frank e la nostra protagonista.
Il
primo, come già detto, non ha alcuna simpatia per il ragazzo e tenta
il più possibile di tenere la figlia a casa.
Frank,
dal canto suo, non dà alcuna importanza alla famiglia della ragazza,
ma la ama per quello che è. Egli è probabilmente l’unica persona
che ama Eveline,
e non la sua immagine di serva di famiglia, figlia, lavoratrice,
ecc., che le altre persone vedono in lei.
Dovremmo
infine considerare il punto di vista di Eveline, che è ancora più
complesso, perché la ragazza sembra divisa tra due punti di vista:
da una parte il padre, che rappresenta la sua infanzia e la sua vita
finora, e Frank dall’altra, che è la promessa del futuro e di una
nuova vita adulta.
A
differenza di Nora di "Casa di bambola", che comprende che
sia il padre che il marito l’hanno trattata allo stesso modo e
decide di abbandonarli entrambi per poter vivere per conto proprio,
Eveline deve scegliere tra due uomini diversi, che le offrono due
vite differenti.
…Perché
la sua paralisi finale è dovuta al suo eccessivo attaccamento
L’ultima
parte del racconto ci presenta Eveline e Frank in stazione,
apparentemente decisi a partire entrambi per Buenos Aires. La nostra
protagonista, tuttavia, è terrorizzata: non fa che pensare al
proprio dovere, alla sua famiglia, a ciò che sta per lasciarsi alle
spalle.
È
per questo motivo che, alla fine della storia, ella è persino
incapace di muoversi, e lascia che Frank parta senza di lei.
Eveline,
come all’inizio della storia, è immobile: riesce solo a pensare, e
di certo non in modo logico e razionale. È per quello che nessuno di
noi lettori può affermare che ella effettivamente scelga:
ella ha così paura di una sua decisione che non riesce a fare nulla.
Questo
post conclude un ciclo di cinque episodi all’interno della rubrica
“Donne straordinarie”, iniziato, come già detto, con Nora di
Casa
di bambola
e proseguito con Micol, la protagonista della tragedia Saul, e con le due figlie di Agamennone, Ifigenia ed Elettra.
Si tratta di cinque capitoli di un’indagine sul rapporto tra padre
e figlia nella letteratura. Ho voluto dare spazio a questa tematica
perché penso che sia fondamentale per la crescita di una giovane
donna, e le eroine di cui abbiamo parlato lo dimostrano.
Eveline
presenta
una visione estremamente pessimista della relazione tra padre e
figlia, persino peggiore delle opere in cui una di queste due persone
muore. In effetti, Ifigenia sceglie di immolarsi per il bene di suo
padre, ma lo fa per delle profonde motivazioni, dopo aver riflettuto;
potremmo dire la stessa cosa per Elettra, che sceglie deliberatamente
di trascorrere la sua vita ad onorare la memoria del padre morto.
Micol
e Nora, dal canto loro, dopo la morte dei loro padri, decidono di
costruirsi, a modo loro, una nuova vita. Per Eveline, invece, la
morte è spirituale: il sacrificio è, in un certo senso, forzato,
perché non può fare nient’altro; la sua paralisi finale lascia
aperte alcune importanti questioni su come si sia sviluppato il
rapporto padre/figlia nel XX secolo ed oltre.
Vi
ringrazio molto per aver letto questo lungo post (e gli altri di
questo ciclo). Sono ancora indecisa su come strutturare questa
rubrica prossimamente.
Potrei tornare ad occuparmi di scrittrici che amo, come ho fatto con Sveva Casati Modignani, Elena Ferrante ed Oriana Fallaci.
Potrei indagare nuovamente i rapporti familiari, stavolta riferendomi ad opere contemporanee.
Potrei, infine, iniziare un ciclo completamente nuovo. Io sarei orientata verso quest'ultima ipotesi, ed avrei già un'idea per il 2018, magari con cadenza mensile o bimestrale...ma vi farò sapere più in là, e poi mi interessa il vostro parere!
Potrei tornare ad occuparmi di scrittrici che amo, come ho fatto con Sveva Casati Modignani, Elena Ferrante ed Oriana Fallaci.
Potrei indagare nuovamente i rapporti familiari, stavolta riferendomi ad opere contemporanee.
Potrei, infine, iniziare un ciclo completamente nuovo. Io sarei orientata verso quest'ultima ipotesi, ed avrei già un'idea per il 2018, magari con cadenza mensile o bimestrale...ma vi farò sapere più in là, e poi mi interessa il vostro parere!
Ogni
consiglio in questo senso è ovviamente ben accetto!