giovedì 4 dicembre 2025

IL MERCANTE DI VENEZIA

 Recensioni classiche: Shakespeare #6




Cari lettori,

per il nostro “Momento dei classici”, benvenuti all’ultimo appuntamento del nostro percorso alla ri-scoperta di Shakespeare!


È stato un percorso bimestrale, quindi relativamente breve, ma per me intenso! Come sapete, ho scelto questo progetto letterario per il 2025 perché mi sono resa conto di non aver letto quasi nessuna opera per intero di questo autore, che non ha davvero bisogno di presentazioni. Ho visto rappresentati alcuni suoi drammi o commedie, ne ho letti altri “a pezzi” a scuola, altri ancora sono stati una completa novità per me.


Oggi concludiamo il percorso con una black comedy che avevo studiato per bene quando andavo a scuola e che sono stata felice di riprendere per intero: Il mercante di Venezia.


Prima di parlare insieme dell’opera, però, vi lascio i link alle “puntate precedenti”:


1) Gennaio/febbraio: Romeo e Giulietta, a questo link;


2) Marzo/aprile: La tempesta, a questo link;


3) Maggio/giugno: Molto rumore per nulla, a questo link;


4) Luglio/agosto: Re Lear, a questo link;


5) Settembre/ottobre: Le allegre comari di Windsor, a questo link.


E ora, senza altre chiacchiere, passiamo all’ “ultima puntata” del percorso!



Un ricco mercante in difficoltà


Antonio è un ricco mercante veneziano, noto a tutti in paese per la sua generosità. Egli presta soldi senza interesse e senza un vero e proprio termine, così che molti si rivolgono a lui, sapendo che ha grande disponibilità finanziaria e non solo. Quello che per lui è un servizio “di carità cristiana” si attira le ire del vicino quartiere ebraico, ed in particolare di chi pratica usura. Uno tra tutti, Shylock, il più noto tra gli strozzini della città, non fa altro che litigare con Antonio e prenderlo a male parole ogni volta che i due si incrociano per strada. Shylock, che è avido e pensa molto più ai soldi che alle persone, ignora che la sua stessa figlia Jessica non ne può più di stare sola in casa con lui e sta pensando di fuggire con il suo giovane fidanzato Lorenzo, un ragazzo cristiano della cerchia di amici di Antonio.


Il nostro protagonista, però, è una persona che ha due debolezze, due “difetti fatali” che, messi insieme, gli causano una grandissima malinconia (appartiene all’archetipo teatrale dell’uomo “malinconico”, esattamente come un importante personaggio di Molto rumore per nulla ed altri shakespeariani).


La prima è una certa spregiudicatezza negli affari, che si traduce in una scelta che potremmo considerare folle: Antonio ha messo tutte le sue ricchezze in mare, nella speranza di scambi ed investimenti che lo possano ripagare due o anche tre volte tanto. Purtroppo egli non ha avuto l’accortezza di conservare quasi nulla per le emergenze, e le notizie che arrivano da lontano non sono tra le più confortanti: le barche rischiano seriamente di affondare.


La seconda è il suo amore, che egli è molto bravo a mascherare con l’amicizia, per il giovane Bassanio, un nobile di Venezia. Egli, considerati i tempi, non può, ovviamente, vivere questo sentimento, e così, per dimostrargli il suo amore, non riesce a far altro che aiutarlo ad essere felice con la donna che ha scelto.


Per aiutarlo a corteggiare Portia, la dama di Belmonte, egli ha però bisogno di liquidità, di cui non dispone più. E quindi a chi chiedere aiuto? Chi è l’unico più ricco di Antonio in città? Purtroppo si tratta dell’odiato Shylock…



Un nemico in cerca di vendetta


Il mercante di Venezia è un’opera shakespeariana che, inaspettatamente, dà molto spazio all’antagonista.


In Romeo e Giulietta i veri nemici sono i genitori dei due ragazzi, con il loro “farsi la guerra” a vicenda, eppure sono in scena pochissimo; Re Lear può essere moralmente grigio, ma non c’è alcun dubbio che le sue prime due figlie e uno dei generi siano crudeli fino al midollo, e dicono poche battute che li qualificano subito; nelle commedie gli antagonisti sono buffi o comunque perdonabili, visto che tutto finisce bene.


Invece questa è una “commedia nera” che indaga le differenze tra bene e male e lascia anche – secondo me giustamente – aperta qualche questione.


Shylock è senza dubbio un personaggio negativo, un uomo che quando l’unica figlia fugge pensa alle gemme che ha portato con sé, una persona che non spende nemmeno un ricordo per la moglie venuta a mancare, un usuraio che non ha nessuna compassione delle persone che stringe nella sua morsa.


Eppure Antonio, che già era nel mirino di Shylock per la sua molto apprezzabile generosità che gli faceva concorrenza, non può fare a meno di aizzarlo ancora di più con insulti ed offese, soprattutto su base discriminatoria. A quel tempo era tristemente normale essere razzisti nei confronti di persone di altre etnie o religioni, ma Shakespeare, che come tutti gli artisti era molto previdente, comprende e fa sapere al lettore che questo è sbagliato, un atteggiamento che porterà solo altro male.


Da qui il notissimo monologo in cui Shylock si chiede se gli ebrei siano poi così strani, perché se hanno fame mangiano, se hanno sonno dormono, se vengono feriti sanguinano, se vengono offesi soffrono… esattamente come tutte le altre persone.


E così, la difficoltà di Antonio, unita alla sua incapacità di dire di no a Bassanio (che ammette candidamente di aver già sperperato troppi soldi, e avrebbe potuto anche evitare, no?), diventano il casus belli perché Shylock possa vendicarsi.


L’uomo, in modo del tutto inaspettato, non chiede la restituzione di un’enorme somma di denaro. Egli si appiglia ad una legge caduta in disuso ma mai del tutto cancellata – l’equivalente dei codicilli legali che scovano oggi i nostri avvocati – e sceglie, come pattuito, una libbra della carne di Antonio. Ed è ovvio che punterà al cuore, uccidendo così l’odiato rivale.



Due donne che tornano protagoniste della loro storia


Mentre Antonio firma il patto che potrebbe costargli la vita, Bassanio, insieme al suo inseparabile servo Graziano, parte per Belmonte, deciso a conquistare Porzia.


La donna, orfana di padre, non solo non può muoversi dal castello di famiglia, ma il caro genitore le ha lasciato in eredità un gioco crudele: un indovinello che i suoi corteggiatori devono risolvere per poterla sposare.


Tre piccoli forzieri, con altrettanti lucchetti; uno d’oro, uno d’argento, uno di ferro. Soltanto uno dei tre contiene il ritratto di Porzia, solo uno consentirà al corteggiatore di sposare la ragazza (ovviamente senza nemmeno considerare la sua volontà). E c’è un ulteriore vincolo: chi perderà la gara non potrà corteggiare o sposare altre donne, ma dovrà “lasciare il cuore lì”.


È un’impresa rischiosissima, ma Bassanio non è amico di Antonio per niente, e condivide con lui la stessa spregiudicatezza. Chi è prudente e saggia, invece, è Porzia, che segretamente spera di restare da sola, perché trova che l’indovinello lasciato da suo padre attiri solo prepotenti e sbruffoni. Quando incontra Bassanio, però, per la prima volta ella vede anche qualche pregio, come la bontà d’animo di fondo e l’importanza data ai sentimenti.


Bassanio riesce a risolvere l’indovinello dei tre forzieri e c’è un doppio matrimonio, sia quello suo con Porzia che quello di Graziano con Nerissa, serva a cui la padrona è legatissima. Proprio mentre si sta organizzando il matrimonio, però, arriva la notizia che le navi di Antonio sono affondate, e soprattutto che i termini dell’accordo con Shylock sono scaduti.


Bassanio, pochi minuti dopo il matrimonio, parte alla disperata, deciso a salvare l’amico. E ancora non lo sa, ma sarà la novella moglie, insieme alla cara Nerissa, a prendere in mano le redini della situazione, dopo tanti anni di reclusione e di sottomissione alle scelte altrui.



Un legal thriller prima del tempo


Porzia e Nerissa si travestono da uomini e arrivano a Venezia presentandosi come “un giovane giudice e il suo segretario”.


Tutti cascano nel tranello (e qui il dramma si fa di nuovo commedia), ma più di tutti ci casca Shylock, che accoglie con gioia un giudice “straniero e fresco di studi”, perché egli sa bene che sia il Doge che tutti i notabili di Venezia sono apertamente a favore di Antonio.


E in effetti, all’inizio, “il giudice Porzia” sembra dare tutte le ragioni a Shylock, perché se c’è scritto che la libbra di carne dev’essere, così sarà. Ma… c’è un ma: sul contratto non c’è nessuna menzione del sangue. Se Shylock farà cadere anche solo una goccia di sangue, passerà dalla parte del torto. E così, l’uomo che sperava di vincere con l’applicazione indiscutibile della legge si ritrova beffato dalla legge stessa…


E c’è ancora un altro appiglio contro Shylock: egli è un cittadino straniero e ha attentato alla legge di un veneziano, quindi sarebbe punibile con la pena di morte. Ma Antonio non vuole versare sangue, così chiede due condizioni alternative: la consegna dei beni di Shylock a Jessica e Lorenzo, che sono ufficialmente marito e moglie, e la conversione dell’uomo al cristianesimo.


Che dirvi? Non so voi, ma a me un po’ di amarezza resta. Il passaggio dei beni a figlia e genero avrebbe potuto essere anche una richiesta ragionevole (lasciando però almeno qualcosa all’uomo per sopravvivere), ma la conversione al cristianesimo significa che Shylock non potrà far parte né della comunità ebraica – che era casa sua – né di quella cristiana – che comunque lo disprezza. 

Sarà un indigente respinto da tutti per tutta la vita (anche se possiamo supporre che la figlia avrà pietà di lui). È di fatto un’uccisione dell’anima: sarebbe bastata la restituzione dei beni ottenuta tramite usura.


E poi l’opera si conclude con uno “scherzo” che Porzia e Nerissa fanno ai novelli mariti a proposito degli anelli nuziali. Bassanio e Graziano ci cadono come due pere cotte e non fanno proprio la parte degli sposi affidabili.


In definitiva, c’è una risoluzione serena e senza spargimento di sangue (persino le ricchezze per mare di Antonio si salvano miracolosamente), ma tutti sono ingranaggi di una società comunque corrotta, e la serenissima Venezia non fa proprio la migliore delle figure, anzi, mostra tanti dei suoi punti deboli.


Forse è questo il motivo principale per cui quest’opera, insieme a Measure for measure (che dovrei ancora leggere), è considerata, come già dicevo, “commedia nera”…




E così siamo alla fine!

Mi dico sempre che questo genere di post è abbastanza impegnativo per me… ma ad essere sinceri, una volta che mi concentro, mi sembra quasi che si scrivano da soli. Ogni tanto è proprio un sollievo tornare nella propria “comfort zone” di quel che si è studiato, visto che per lavoro dobbiamo tutti reinventarci, chi poco e chi tanto.

Non ho ancora pensato a un progetto letterario che potrebbe farci compagnia l’anno prossimo… per ora sono contenta di aver concluso questo!

Vi ringrazio moltissimo per avermi seguito fin qui e vi invito a scrivermi tutto quello che mi va.

E da settimana prossima… si parte con i post prenatalizi!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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