giovedì 6 novembre 2025

LEONORA CARRINGTON

 Un tour della mostra a Palazzo Reale




Cari lettori,

il post di oggi è un ritorno autunnale ai “Consigli artistici” dopo l’estate!


Sono tornata a Palazzo Reale in un bel giorno ottobrino di sole e, anche se l’offerta era piuttosto variegata, ho scelto di vedere per prima una mostra che avevo già adocchiato durante l’estate e che mi ispirava molto: quella di Leonora Carrington, una delle più importanti artiste surrealiste del XX secolo.


Ammetto che non conoscevo Leonora Carrington: ho semplicemente visto online un’anticipazione della mostra e mi sono incuriosita. E ora che l’ho visitata, se dovessi descriverla con una sola parola, userei… illuminante. Mi si è aperto un mondo che non conoscevo ed oggi sono più che felice di parlarvene!



I primi anni dell’artista


Leonora Carrington nasce agli inizi del 1900 in Irlanda, da una famiglia dalle origini composite. Ella viene mandata a studiare in vari collegi cattolici irlandesi e riesce a farsi espellere da tutti quanti per la sua condotta e per le idee che già da ragazza porta avanti con fermezza.

Mentre le istituzioni cattoliche irlandesi cercano in ogni modo di instradarla verso ideologie il più possibile convenzionali, per non dire bigotte, la giovane Leonora vive già in un suo mondo di fantasia: un universo dove fugge tutte le volte che le è consentito.



La serie giovanile di acquerelli Sisters of the moon, che Leonora dipinge quando è ancora minorenne, ne è la prova: una serie di fate e principesse dall’abbigliamento colorato e creativo, che si accompagnano a figure di animali a metà strada tra la realtà e la fantasia, come pavoni dalla coda lunghissima, cavalli bianchi che sembrano quasi unicorni, leopardi domestici.



Leonora è ancora molto giovane quando, visitando una mostra del già noto pittore surrealista Max Ernst, lo conosce e se ne innamora. La coppia diventa una delle più conosciute del mondo dell’arte: i due entrano in un giro di amicizie che comprende tanti importanti intellettuali del tempo, e vanno a vivere in una casa con le mura decorate dalle loro sculture.



I primi anni della loro convivenza sono sereni, come può testimoniare questo dipinto, che richiama l’Oriente in modo molto evocativo…



...oppure questa porta dipinta con figure fantasiose: l’abitazione della coppia era una vera e propria opera d’arte!



Momenti difficili… e l’arte che nasce dal dolore


La felicità di Leonora Carrington e di Max Ernst non dura a lungo. La Seconda Guerra Mondiale scoppia, la Francia viene occupata dai nazisti ed il sogno della giovane coppia si trasforma in un incubo.


Lui è sulla lista dei nemici del nazismo per le sue idee in evidente contraddizione con il totalitarismo, così viene arrestato. Lei, invece, fugge e attraversa la nazione cercando di sfruttare le sue conoscenze e vivendo di espedienti.


Un dipinto dell’artista sembra anticipare la separazione della coppia. Osservando l’opera, che ritrae proprio Carrington ed Ernst, si può notare come lui sia avvolto da qualcosa – a metà strada tra fiamme ed onde – che lo avviluppa completamente, e lei sia appena abbozzata: è rimasta solo la testa, del corpo c’è solo un contorno quasi evanescente. Sullo sfondo c’è un cavallo: vedremo come questi animali, in versione imbizzarrita ed impazzita, diventeranno simboli del suo malessere.



Gli anni della guerra sconvolgono l’umanità intera, e con essa anche Leonora. L’ormai ex compagno Max Ernst riesce a salvarsi da un terribile destino di prigionia e forse di morte, ma fugge lontano, e le strade dei due si dividono per sempre (almeno da un punto di vista privato). Leonora Carrington riesce a sopravvivere alla guerra, ma a caro prezzo, subendo tante angherie, e soprattutto una violenza di gruppo.

Per questo motivo, appena si conclude la guerra, ella viene dichiarata “pazza” (come tutte le donne che a quel tempo avevano subito orrori che avrebbero piegato chiunque) e chiusa in un ospedale psichiatrico, dove le vengono sottoposte delle “cure” che, inutile dirlo, sono ulteriori torture.


Eppure è subito dopo quei terribili momenti che Leonora Carrington crea le sue prime opere memorabili, quelle che ancora oggi sono ricordate come le più importanti. Certo, confusione e dolore regnano sovrani: l’artista non dipinge più se stessa, bensì delle misteriose donne mascherate o delle figure androgine; il cavallo che prima correva libero è diventato un dondolo, forse nella speranza di recuperare l’innocenza perduta dell’infanzia; la camera da letto, un tempo luogo protetto e felice, è posta nel mezzo di una foresta che potrebbe celare dei pericoli.



Anche in questo quadro sul pattinaggio l’elemento dei cavalli imbizzarriti, che corrono in tutte le direzioni, scalciano e si aggrediscono senza una ragione, è simbolo della mente dell’artista, che corre libera e va in luoghi di cui nemmeno lei conosceva l’esistenza (uno di questi cavalli è addirittura sul tetto). 

Si potrebbe credere che questo sia il momento in cui l’artista si è arresa al dolore, ma non penso sia così. I cavalli, infatti, abitano un paesaggio invernale quasi fiabesco, che convoglia una sensazione di calma. Ed è così che, io credo, si è sentita l’artista dipingendo questo quadro: la sofferenza e la paura di impazzire ci sono ancora, eppure ella è finalmente lontana dal male, sia dalla guerra che dall’ospedale psichiatrico. 

E quindi il dolore è libero di correre… ma anche di andarsene.



Questa sezione della mostra comprende un recentissimo filmato, un’intervista a Leonora Carrington quando ella era ormai molto anziana (è morta quasi centenaria). Nonostante tutto quello che la donna ha passato, si vedono ancora grande forza e lucidità, ed il desiderio di godersi quel che di bello le ha dato la vita, come il marito, i figli, l’amore sempiterno per l’arte. Veramente un’intervista commovente.



Leonora Carrington surrealista… ma alle sue regole


La seconda parte della mostra è dedicata alle opere più note di Leonora Carrington, quelle che l’hanno inserita nel novero dei pittori surrealisti del Novecento.

Mentre ella le dipinge, molte cose cambiano nella sua vita: dopo un primo, breve matrimonio con un vecchio amico, che non dura, ella decide di trasferirsi in Messico, nazione che sarà la sua vera casa per il resto dell'esistenza. Lì conoscerà l’artista e fotografo messicano che diventerà il suo secondo marito e il compagno di una vita, avrà due figli, dipingerà le sue opere più famose.


Il suo grande trasferimento assume un significato quasi sacrale per lei. 

Questo è quello che si può dedurre osservando il suo dipinto I quattro elementi: una lunga processione – simbolo del suo incamminarsi verso un nuovo continente – attraversa una bosco animato dal fuoco, una terra rossa popolata da un branco di tori, un fiume solcato da una barca a forma di pesce ed una distesa innevata, per arrivare ad una grotta che dà un’idea rassicurante di rifugio.



Abbiamo parlato di “sacralità”, e in effetti, nonostante la lotta al bigottismo ed alle convenzioni della Chiesa portata avanti fin dalla tenera età, per Leonora Carrington la Bibbia è comunque una fonte d’ispirazione. 

In uno dei suoi quadri più celebri, Le tentazioni di Agostino sono rovesciate in positivo, come visioni che accompagnano il santo e lo aiutano nella stesura delle sue opere, invece che metterlo in difficoltà.



Anche L’Arca di Noè è un episodio biblico celebrato da una tavola lunga e stretta, dove le sfumature rosse sembrano dominare e accentuano la drammaticità del soggetto.



In questa tela, che secondo me è una delle più belle, sono presenti tante delle tematiche più care all’artista: la foresta incantata, luogo di miti e favole da sempre; la processione – anche in un luogo non tradizionalmente sacro – come momento umano di condivisione; l’elemento acquatico in tempesta, solcato da mezzi fantasiosi; il fascino che esercita l’Oriente, rappresentato da una sorta di portale magico sulla destra. 

Questo quadro, Orplied, parola inventata dall'artista, anticipa anche il tema della magia, di importanza fondamentale per la Leonora Carrington più matura.



Un altro quadro che mi ha colpito molto, perché secondo me è importante per comprendere chi fosse davvero l’artista, è questo omaggio al suo ginecologo, l’uomo che l’ha assistita nella nascita dei suoi due figli. L’uomo è messo in chiara contrapposizione con i medici dell’ospedale psichiatrico, che Leonora Carrington non ha mai dimenticato. 

È come se con questa tela affermasse l’importanza cruciale che hanno i professionisti della salute nella vita di una persona, specie in quella di una donna: se un medico (o più medici) non hanno saputo far altro che accusarla di essere pazza e farle del male, lasciandola ancora più miserabile di prima, un medico che credeva davvero nel suo lavoro l’ha aiutata a portare a termine le sue due gravidanze, che comunque ella stessa descrive come una delle esperienze più belle e importanti della sua vita. 

È un importante scardinamento femminista del concetto di “partorire con dolore”, una denuncia della violenza medica che purtroppo alcune donne subiscono ancora oggi.



Magia e misticismo


Il tema della magia è molto presente nella produzione degli ultimi decenni di Leonora Carrington, al punto che l’artista ha addirittura creato dei propri tarocchi con dipinti fatti da lei.



C’è una tela che, in qualche modo, richiama un’atmosfera da “notte di Natale”: ci sono il deserto, un riparo improvvisato, una notte piena di stelle. Eppure al posto di Giuseppe e Maria c’è un’enigmatica coppia dipinta in rosso e blu, invece dei pastori ci sono delle figure incappucciate e soprattutto non c’è nessun bambino, ma solo degli animali liberi di scorrazzare per la tenda, tra i quali spicca una sorta di lupo antropomorfo. 

Ancora una volta, la Bibbia viene reinterpretata secondo la fantasia dell’artista.



Un soggetto particolarmente caro a Leonora Carrington in questa sua fase creativa è la “cucina alchemica”: cucinare, un atto considerato comune – e quasi servile – per le donne, si trasforma in un momento creativo dalle connotazioni magiche. Anche in tarda età, l’artista non ha mai dimenticato la bellezza della cucina di sua nonna, e la omaggia in una delle sue tele più famose (quella che è stata scelta per la locandina della mostra).



Leonora Carrington si dice femminista fino ai suoi ultimi giorni, anzi, più volte afferma che la forza delle donne sarà quella che salverà il mondo degli uomini, fatto di guerra e di sopraffazione. 

La mostra è piena di sue citazioni, forti, poetiche e, in qualche modo, lungimiranti… come tutti i grandi artisti, ella aveva già compreso in che direzione stava andando il mondo. 

Forse aveva davvero qualcosa di magico…




Avete tempo fino all’11 gennaio per fare un salto a Palazzo Reale e dare un’occhiata alla mostra… e ve lo consiglio con tutto il cuore!

Per me è stata veramente una bella esperienza, emozionante oltre che istruttiva. Leonora Carrington è un’artista che vale la pena di conoscere meglio, per tanti motivi, che spero di avervi raccontato per bene.

Fatemi sapere se vi ho incuriosito o se ci siete già stati!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


lunedì 3 novembre 2025

SARDEGNA NOIR

 Due romanzi di Piergiorgio Pulixi




Cari lettori,

diamo il via a novembre con le nostre “Letture… per autori”!


Settimana scorsa abbiamo archiviato Halloween con i Preferiti di ottobre e due thriller di Barbara Baraldi dalle atmosfere spooky (che trovate a questo link).


I due romanzi di cui vi parlo oggi avrebbero potuto essere a loro volta una buona scelta per i giorni più spaventosi dell’anno… ma l’autore, Piergiorgio Pulixi, è già stato più di una volta protagonista dell’ultima settimana di ottobre, così ho pensato di puntare su altro e di raccontarveli oggi.


Ormai Pulixi è stato tante volte incluso nei miei post (la scorsa primavera l’ho anche incontrato, ve lo racconto qui), e sapete che spesso i suoi romanzi sono… da brividi garantiti!


Le due storie che vi racconto oggi sono differenti – perché una di esse è una storia originale con un nuovo protagonista, un’altra invece è l’ultima indagine di due poliziotte comparse già più volte -, ma sono entrambe ambientate in Sardegna e pongono al centro della scena dei delitti davvero inquietanti.


Parliamone meglio insieme!



La donna nel pozzo


Ermes Calvino è un giovane uomo che vive nella periferia romana ed ha già visto naufragare molti dei suoi sogni. Orfano di padre, egli fa del suo meglio per mantenere la madre e la sorella, ma quest’ultima, che è una madre single, è tossicodipendente e si fa continuamente licenziare, gli dà parecchie preoccupazioni.


Inoltre l’ambiente in cui egli vorrebbe fare carriera, ovvero quello della scrittura e dell’editoria, è popolato di squali. Uno di questo è Arturo Panzirolli, editore balzato al successo direttamente dalla galera, che riconosce l’indubbia capacità di scrivere di Ermes ed elabora un piano diabolico.


Da qualche tempo, infatti, Ermes è il ghostwriter di Lorenzo Roccaforte, un vincitore di Premio Strega che da fin troppi mesi è in piena crisi creativa. Egli non solo si occupa di dare vita al suo secondo attesissimo romanzo, ma soprattutto scrive i testi del podcast true crime di cui Lorenzo è la star assoluta.


I due non si possono sopportare, ma sanno di essere indispensabili l’uno all’altro, così abbozzano.


Un giorno Panzirolli li attende con un’inaspettata proposta che potrebbe far guadagnare ulteriore popolarità al podcast… anche se ci sono di mezzo un viaggio ed una possibile indagine sul campo.


Da qualche settimana, infatti, un paesino sardo di provincia è stato sconvolto da una tragedia. Cristina Mandas, moglie, madre e maestra apprezzatissima, prima è scomparsa e poi è stata ritrovata morta sul fondo di un vecchio pozzo, in mezzo al nulla.


Ermes non si sente tranquillo a lasciare sole mamma e nipotina con la sorella, ma quando viene a sapere che quest’ultima ne ha combinata un’altra delle sue e deve dei soldi a persone molto pericolose, si convince che non può perdere un’opportunità di guadagno così ghiotta, a costo di volare fino in Sardegna e di interferire con le indagini degli inquirenti per saperne di più (e per primi, dettaglio fondamentale per questo tipo di podcast).


Egli e Lorenzo, pochi giorni dopo, atterrano in Sardegna e prendono subito contatto con i responsabili dell’indagine. Ben presto scoprono che Cristina, la vittima, negli ultimi tempi era molto diversa dal solito: da un giorno all’altro aveva iniziato ad essere svagata sul posto di lavoro, a sembrare agitata a tutti, persino a dimenticare il compleanno del marito.


Quel che è ancora più strano è che Cristina non ha trascorso tutta la vita nel luogo in cui vive e lavora, ma proviene da un altro paese. Un luogo da cui è fuggita molti anni prima quando, ancora adolescente, ha dovuto affrontare la morte violenta di una sua coetanea ed amica: un altro delitto mai risolto.


Chi era davvero “la donna nel pozzo” e che cosa nascondeva? Che collegamento potrebbe esserci con un cold case vecchio di decenni? Questi ed altri gli interrogativi a cui devono rispondere Ermes e Lorenzo per far sì che il loro podcast continui ad avere successo. Anche se le forze dell’ordine sono molto reticenti, il paesino nasconde bene i suoi segreti, ed entrambi i protagonisti sembrano avere altro per la testa…



La donna nel pozzo presenta un nuovo protagonista, Ermes Calvino (non imparentato con lo scrittore, come egli stesso ripete più volte), che credo sarà protagonista, insieme alla sua “controparte di facciata” Lorenzo, almeno per un altro romanzo. Il finale, infatti, rimane abbastanza aperto dal punto di vista delle vite dei personaggi, sulle quali forse l’autore vuole raccontarci ancora qualcosa.


Non è così, invece, per quanto riguarda l’intreccio giallo, che porta a delle rivelazioni… davvero sconvolgenti. Cristina e le sue amiche (perché sì, non ce n’è soltanto una coinvolta) sono state vittime di qualcosa di molto più grande di loro, uno spaccato abominevole di vizio dei potenti che deve venire assolutamente coperto, anche in caso di confessioni o pentimenti molto tardivi.


Come tutti i romanzi di Pulixi, le pagine volano l’una dopo l’altra, anche se lo sconcerto, in certi punti, è davvero grande. Sono sicura che resterete molto sorpresi da quello che l’autore ci vuole raccontare!



L’uomo dagli occhi tristi


Si tratta di un momento molto delicato per la squadra speciale del vicequestore Vito Strega, un talento dell’investigativa che ha riunito i migliori elementi sardi (Mara Rais), milanesi in trasferta (Eva Croce) e veneti (Bepi Pavan) creando così un pool di specialisti in serial killer e casi complessi.


L’ultimo caso, quello della morte violenta dell’adolescente Maristella Coga, ha però creato delle fratture all’interno del gruppo, soprattutto perché il comportamento non proprio ortodosso di Strega non è stato apprezzato. Bepi, che è la parte pacifica del gruppo, ha deciso di prendersi un periodo di aspettativa ed occuparsi finalmente della propria salute, visto che è a rischio obesità. Mara Rais, la più ferita perché innamorata da tempo di Strega, se n’è tornata furibonda a Cagliari, lasciando il suo ormai ex capo a Milano, e si è riportata dietro Eva, alla quale è legata da una strana amicizia: nessuna delle due si confida con l’altra, eppure entrambe stanno bene insieme e sanno di poter contare l’una sull’altra.


Non lo sanno ancora, ma stanno per avere bisogno più che mai del reciproco sostegno.


Nel Lago dell’Alta Ogliastra, un vero e proprio paradiso sardo, è accaduta una tragedia. Su una piccola barca di proprietà di Daniele Enna, ex sindaco, consigliere regionale e volto emergente della transizione ecologica, è stato ritrovato un corpo.


La vittima è un ragazzo che frequentava una scuola superiore locale. Un ragazzo noto per essere omosessuale, e forse per questo, oltre alle numerose coltellate, egli presenta una vistosa parrucca, un vestito sgargiante ed un trucco femminile.


Una morte inspiegabile, dal momento che si trattava di un ragazzo esemplare. L’unica pista dubbia potrebbero essere i precedenti penali del padre, ma è un’ipotesi molto remota: l’uomo è pulito da decenni, e comunque apparteneva ad un mondo (quello delle rapine) in cui “ci si limita” a sparare, non si mettono in piedi delitti come questo, che sembra di chiaro stampo omofobo.


La villa di Daniele Enna è vicinissima al lago, e questo fa di lui il principale sospettato. Si viene a creare così una situazione delicatissima, anche perché la PM incaricata delle indagini era già al lavoro per scoprire i legami tra i comuni dell’Alta Ogliastra e la malavita organizzata, e questa seconda indagine potrebbe far saltare la prima.


Le alte sfere, ritenendo inadeguato il rappresentante locale delle forze dell’ordine (un volonteroso ma non proprio brillante maresciallo, che ha anche un grosso problema familiare sulle spalle), decidono di convocare le ispettrici Eva Croce e Mara Rais. Le due, loro malgrado, vincono un soggiorno nel “paese dei fiori”, reso esteticamente gradevole dai tanti interventi di Daniele Enna. Un luogo bellissimo che però, giorno dopo giorno, inizia a puzzare di morte e di segreti.



Non solo l’indagine è difficile, ma in questo momento i non detti tra Eva e Mara rischiano di creare una grossa crepa. 

Eva non sa niente della battaglia che Mara sta combattendo: il suo ex marito, infatti, sta cercando di portarle via la figlia tredicenne con la scusa della pericolosità del lavoro di poliziotta. 

Mara, invece, non sa che Eva ha deciso di stabilirsi in Sardegna per dimenticare la straziante morte per malattia della figlia e la conseguente fine del suo matrimonio. Le due, come già detto, non parlano di tutto questo… ma i segreti sono nelle mani pericolose di una stalker, una ex carabiniera che nutre un’ossessione malata per Vito Strega.


Da tempo ella sta cercando di indebolire la squadra del vicequestore, ed ora ha in mano l’arma definitiva, quella che potrebbe rompere per sempre l’amicizia tra le due ispettrici: alcune foto di una sera in cui Strega, dopo uno sfogo disperato, bacia Eva…



L’uomo dagli occhi tristi fa parte, in un certo modo, della serie di Strega, ma vede il protagonista fare un temporaneo passo indietro (credo che nel prossimo romanzo la questione della sua stalker sarà centrale).


Questo libro è invece incentrato su Eva e Mara, che finalmente passano dall’essere una squadra imbattibile ad essere amiche per davvero, confronti accesi compresi. Nessuna delle due sta passando un buon periodo, ma proprio quell’incarico lavorativo che sembra essere arrivato per dar loro il colpo di grazia contribuirà invece a renderle più unite e forti.


La storia raccontata ha qualche comunanza con quella de La donna nel pozzo: ancora una volta un paesino idilliaco che nasconde segreti, ancora una volta vittime innocenti e giovanissime, ancora una volta vizi e scandali dei potenti che vengono fatti pagare a chi ha osato ribellarsi.


In questo romanzo, però, si parla anche molto di transizione ecologica, che sarebbe anche un bellissimo tema, se non ci fosse il problema che in molte parti d’Italia (e anche di altri stati, sospetto) è diventato uno specchietto per le allodole, in modo che il politico di turno possa impossessarsi di soldi pubblici e impiegarne per davvero solo una parte.


È sempre un piacere tornare da questi personaggi, anche se le loro storie sono tutt’altro che facili da digerire! Chissà come si evolveranno le loro vicende personali…





Due letture da fare tutte d’un fiato!

Che ne dite? Conoscete l’autore? Avete letto questi romanzi?

Fatemi sapere che ne pensate!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


giovedì 30 ottobre 2025

I PREFERITI DI OTTOBRE 2025

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese




Cari lettori, 

eccoci arrivati al penultimo giorno di ottobre! 

Archiviati i ritorni di settembre, gli inizi graduali (per me quest'anno nemmeno tanto, in realtà) ed il mio compleanno, ottobre è stato un mese intenso dal punto di vista del lavoro e, in generale, ricco di impegni. Per fortuna i weekend, invece, sono stati piuttosto tranquilli, così c'è stato tempo per godersi il bello della stagione autunnale. 

Oggi vi racconto tutto quello che mi è piaciuto in questo mese, dai libri ai film, dalla musica alla poesia alle foto del periodo!



Il libro del mese


La storia raccontata in questo romanzo ha inizio nel 1944, A Dachau.


Johann Maria Adami, professore italo-tedesco, è stato per una vita un punto di riferimento per la Facoltà di Medicina; poi però si è rifiutato di esporre i vessilli con i simboli nazisti e da allora, per il regime di Hitler, è diventato un nemico pubblico. Da mesi è confinato dove vanno a finire tutti quelli come lui che non sono riusciti a scappare: in un campo di concentramento, un incubo ad occhi aperti di cui tante persone non conoscono ancora l’esistenza.


È proprio però in uno dei momenti più penosi, la cosiddetta “prova del brodo” (i prigionieri che lo espellono subito dopo averlo bevuto sono condannati ad un’infelice fine), che i Kapò gli dicono che qualcuno lo sta aspettando. L’ospite inatteso è Veil Seidel, suo ex alunno non proprio portato per la Medicina, che si è reinventato intraprendendo una carriera molto più redditizia: quella di gerarca nazista.


La questione è molto seria. A Kransberg, al palazzo del Führer, la situazione è tesissima dopo l’armistizio. La Germania è rimasta senza alleati e Hitler, un tempo padrone indiscusso del castello, si è nascosto in un bunker con quel che rimane della sua famiglia. Come se non bastasse, il corpo di un gerarca giovanissimo, ma già importante quasi quando Seidel, è stato trovato poche ore prima ai piedi di una torre. Si tratta chiaramente di omicidio, e chi meglio di Johann Maria Adami potrebbe svolgere al meglio sia il compito di medico legale che quello di detective? Il suo alunno ha pensato a lui, e c’è in gioco la credibilità del regime nazista.


Adami vorrebbe rifiutarsi: non vuole lasciare l’inferno di Dachau per finire direttamente nella bocca del diavolo. Ma non solo non ha scelta: il castello di Kransberg è pur sempre all’aperto e una via di fuga potrebbe esserci. Inoltre, una volta giunto lì, tra prigionieri inglesi ed infermieri non proprio devoti alla causa, si rende conto di non essere l’unico che ha in odio il dittatore e la guerra.



A molti km da Kransberg, nel cuore di Trieste, Ada, la figlia di Johann, che da tempo non ha notizie di lui, prosegue con coraggio nell’esercitare la sua professione di medico. Non lo fa solo per salvare se stessa: dal marito, anch’egli introvabile, ha avuto un figlio che non solo rischia di restare solo, ma è anche da nascondere al mondo: è nato con una zoppia alla gamba ed il regime non permette di vivere ai bambini come lui. 

La maggior parte del tempo Ada affida ad una balia il suo piccolo, e non fa che girare per Trieste raggranellando qualche soldo da chi si può ancora curare, specie da chi è ancora benestante e amico dei dittatori tedeschi. Sono essi, infatti, ad aver occupato quella porzione d’Italia… che Italia, ancora, in quel momento storico, non è, per quanto la stragrande maggioranza degli abitanti si consideri tale.


Per sua fortuna ella è ancora amica di una ricca famiglia della città, ma un giorno la figlia della coppia, Margherita, viene aggredita da un folle. Ella non subisce violenze sessuali, ma torna a casa picchiata e marchiata… quasi come se fosse stata morsa da un animale.


Purtroppo il fatto di sangue è avvenuto fin troppo vicino alla Risiera, un luogo che “ha tradito” i triestini: un tempo sembrava mantenere la promessa di portare lavoro e progresso; ora è la sede dei nazisti, ed una parte del luogo è stata riconvertita a prigione.


Ada decide comunque di fare luce sul mistero, soprattutto perché sa che il padre di Margherita è troppo debole e servile con il regime, e dunque non farà niente di davvero utile. Ma non sa che i nemici che ella dovrà affrontare vengono da due parti: i nazisti dal Nord e i titini da Est. Così come i campi di concentramento, anche l’orrore delle foibe deve essere ancora scoperto dalla storia…



Quando, in piena estate, vi ho recensito Come vento cucito alla terra di Ilaria Tuti (trovate il mio parere a questo link), vi ho detto che ero stata piuttosto indecisa sull’inserire o no quel romanzo nei preferiti del mese; poi, però, avevo pensato di abbinarlo ad un’altra bella storia di coraggio al femminile e di creare un post a parte.


In seguito è arrivato Risplendo non brucio, che mi è stato consigliato proprio sulla spiaggia nei giorni in cui ho pubblicato l’altro post, e non ho avuto più dubbi, perché se la Ilaria Tuti creatrice dei noir con Teresa Battaglia mi piace e mi convince, la Ilaria Tuti autrice di romanzi storici è davvero straordinaria.


Questo è un romanzo sull’orrore del 1944, un anno in cui la Seconda Guerra Mondiale ha vissuto i suoi momenti più feroci, un momento storico in cui l’Europa è stata devastata dal peggiore lato delle guerre: quello fratricida.


Da una parte all’altra dall’Europa i due protagonisti, padre e figlia, che in tempi di pace non andavano nemmeno tanto d’accordo ma si vogliono un bene sincero (e si assomigliano tra loro molto di più di quel che credono), lottano per ritrovarsi e per tornare a casa, cercando di sopravvivere in mezzo a tanti pericolosi nemici.


La prepotenza e la sopraffazione di tanti personaggi di questo romanzo, però, spesso non riescono ad avere la meglio contro l’integrità di un essere umano dal cuore puro, nonostante tutti i tentativi di schiacciare ed anche di spegnere una vita. Chi è in difficoltà ma si trova dalla parte giusta trova spesso un aiuto insperato, e persino chi si è sacrificato vive nel ricordo di chi mantiene viva la speranza.


Non si tratta di una lettura facile, e vi avviso che gli ultimi capitoli sono da groppo alla gola continuo. Personalmente io di fronte all’ultima pagina mi sono sfogata ben bene con il pianto, e non mi capitava da molto. È un viaggio difficile, ma, pagina dopo pagina, vi accorgerete che avete tra le mani un testo davvero prezioso.


Vi lascio una citazione:


Una pace tiepida si era posata su quel lembo di mondo. La primavera premeva in ogni stelo, in ogni nuovo getto. Ada la sentiva negli odori verdi. Il gelo inusuale degli ultimi giorni non era stato abbastanza forte da fermare la vita che era in procinto di esplodere, gloriosa.

C’è sempre speranza, sembrava insegnare.

Ignora il dolore, ignora la stanchezza, va’ avanti.

Sopravvivere è sempre un atto feroce.

Sii feroce.”



Il film del mese



Taranto, 1997.


Caterino Lamanna è un operaio che, come tantissimi altri, lavora all’Ilva.


In egli realtà egli vive in una masseria che avrebbe potuto avere un futuro, ma, da quando è stato costruito il vicino polo siderurgico, lui e tanti suoi concittadini si sono reinventati, abbandonando completamente l’agricoltura per la fabbrica. Anche perché i fumi non proprio salutari dell’Ilva non consentivano a nessuno una coltura eccellente.


Caterino non ha studiato, ma ha grande etica del lavoro e disprezza chi, secondo lui, “si fa mantenere”. Ammira molto i suoi capi e, insieme alla fidanzata Anna, coltiva il sogno di andare a vivere in città e di fare carriera, anche se non sa come.


In modo del tutto inaspettato, l’occasione gli si presenta un giorno in cui i dirigenti aziendali lo convocano nel loro ufficio. A Caterino non sembra vero, ma l’offerta è di quelle che si potrebbero paragonare alla famosa “vendita dell’anima” .


Caterino, infatti, viene assunto dalla dirigenza come spia: egli dovrà segnalare loro quali colleghi siano sindacalisti, quali agitino la folla dei dipendenti aiutandoli a far valere i loro diritti, quali addirittura parlino male dei capi.


Il nostro protagonista inizia addirittura a pedinare i colleghi, ed è così che egli fa una scoperta stupefacente. Nei mesi precedenti, infatti, egli ha notato la sparizione dal posto di lavoro di alcune persone che lavoravano con lui (sia operai che professionisti qualificati). Qualcuno era stato denunciato proprio da lui, altri no. Seguendo un collega “sospetto”, egli ritrova tutti gli scomparsi in un edificio, la cosiddetta Palazzina LAF (da “laminatura a freddo”): sono lì, a far passare le ore lavorative senza un vero scopo.


Con la scusa di un cambio mansioni, infatti, tutti coloro che hanno osato ribellarsi alla dirigenza o tentare di far valere i propri diritti sono stati chiusi lì, per le otto ore lavorative, tra uffici polverosi ormai dismessi da anni e corridoi che sono stati trasformati in bivacchi. 

C’è chi si beve un caffè dietro l’altro e chiacchiera anche se non ha molto da raccontarsi, chi inventa giochi da tavolo o di società come se fosse già in pensione, chi telefona a casa per avere un po’ di conforto. Qualcuno è già in pieno burnout (anche se negli anni ‘90 non se ne parlava ancora molto) e piange disperato, o ha crisi nervose.


La permanenza a Palazzina LAF prevede una via d’uscita, ma è un’umiliazione che pochi se la sentono di sostenere. Si può tornare al lavoro solo se si accetta il cambiamento proposto dalla dirigenza: ad ingegneri e segretarie vengono proposti impieghi come operai e manovali, ad operai con disabilità riconosciute dei lavori come uomini di fatica ai quali difficilmente essi potrebbero resistere a lungo.



Caterino, però, è troppo accecato dalle sue ambizioni e pecca di qualunquismo, così, pensando di “spassarsela a non fare niente”, chiede ai dirigenti di poter essere spedito lì alla palazzina con una scusa: da lì, sostiene, sarà molto più facile osservare le “persone sospette”.


Caterino inizia così il suo soggiorno alla Palazzina LAF: si stabilisce in uno degli uffici dismessi ed i primi giorni pensa davvero di aver fatto un grande affare. Poi, però, il malessere per essere costretti per delle ore a non fare niente (che è a tutti gli effetti una forma di mobbing) si fa strada pian piano dentro di lui. Inoltre, egli conosce gli altri inquilini della palazzina e per la prima volta non si sente servo dei potenti, ma trattato come un amico…



Palazzina LAF è un film di cui mi avevano parlato in tanti e che volevo vedere da un po’. Me lo avevano descritto come un pugno nello stomaco e… confermo, anche se a mio parere degli spiragli di luce si intravedono.


Senz’altro è un film sulla questione dell’Ilva in particolare, e sul mobbing in generale. Mi ha colpito molto vedere come sono stati tratteggiati i personaggi che subiscono abusi sul lavoro, come si tengano stretta la loro dignità, come facciano gruppo. In un certo senso, è lo stesso discorso che vi facevo recensendo il romanzo: per quanto essi siano vittime di una prepotenza inaudita, sono nella ragione, e questo non si può cancellare.


Caterino invece non riesce a trasformarsi in un personaggio positivo, e dovrà rendersi conto degli sbagli che ha fatto. Personalmente credo che la sua storia simboleggi tutte quelle dei “servi che vogliono essere amici dei padroni”, rendendosi poi conto che saranno sempre e solo servi. 

Mi ha colpito molto che Michele Riondino – che, a giudicare dalle sue interviste, su tante questioni, anche a tema lavoro, la pensa come me – abbia voluto interpretare un personaggio del genere.


Io non riesco a sopportare chi si comporta come Caterino, chi anche alle cene o agli aperitivi rimbecca le persone vittime di ingiustizia sul lavoro dicendo che “tu devi capire le ragioni dell’azienda”, o rimprovera chi si apre parlando di burnout e di una cercata e voluta pausa dal suo impiego con frasi tipo “ma un lavoro si deve avere”. 

Mi sono sempre chiesta che cosa sperino di ottenere queste persone facendo gli avvocati dei potenti. Ecco, forse questo film dà una amara risposta. Comunque lo consiglio molto!



La musica del mese


Continuiamo con il nostro viaggio in macchina “vintage” alla riscoperta di qualche brano di musica italiana non proprio nuovissimo, ma che secondo me merita un suo spazietto.


Nel corso di questo ottobre ho utilizzato parecchio la macchina, tra lavoro, sport e commissioni varie, e mi sono imbattuta in una bella cover di Elisa della splendida Almeno tu nell’Universo di Mia Martini. La potete ascoltare a questo link.


Sai, la gente è strana

prima si odia e poi si ama

cambia idea improvvisamente

prima la verità, poi mentirà lui

senza serietà, come fosse niente…


Sai, la gente è matta

forse è troppo insoddisfatta

segue il mondo ciecamente

quando la moda cambia

lei pure cambia

continuamente, scioccamente…


Tu, tu che sei diverso

almeno tu nell’Universo

un punto sei, che non ruota mai intorno a me

un sole che splende per me soltanto

come un diamante in mezzo al cuore


Tu, tu che sei diverso

almeno tu nell’Universo

non cambierai!

Dimmi che per sempre sarai sincero

e che mi amerai davvero di più…



La poesia del mese 


Per il mese di ottobre e la malinconia autunnale che talvolta porta con sé, ho pensato a Nelle tue palme dischiuse di Elio Pecora.


Nelle tue palme dischiuse

lascia ch’io posi stasera

questo mio sonno di lacrime.

Né sei più tu chi diceva

andremo...sempre...”

Tu vai

incontro ad altre parole

per strade che non conosco

ed io rimango a pensare

se tutto fu gioco.



Le foto del mese


Non è ottobre senza un must dei weekend: le passeggiate tra parco e Naviglio per fotografare il foliage! Quest’anno, a differenza dello scorso autunno (in cui le piogge sono arrivate troppo presto), è stato un ottobre ancora mite e piacevole, con tante belle giornate. L’ombra ovviamente è la mia!



Un giorno in cui lavoravo solo al mattino e danza era stata sospesa, ho deciso di approfittare del pomeriggio libero per fare una passeggiata a Milano. Sono andata a Palazzo Reale ed ho visto sia la mostra di Leonora Carrington che un’esposizione gratuita a tema “Arte e scienze informatiche”: vi parlerò di entrambe in novembre!



Questa gustosa Sacherina, bella e buona, è un mio acquisto in un sabato in cui ero da sola (tranquilli, l’ho mangiata in due volte…). Ma ne approfitto per dirvi che ho anche cucinato un po’ in queste settimane e, se riesco, in novembre vedrete anche un mio post di ricette.



Insieme al foliage, al parco c'erano ancora gli ultimi, splendidi fiori della stagione... come questa bellissima macchia lilla!



A super sorpresa è arrivato un servizio fotografico del nostro saggio di giugno. Le foto sono davvero splendide! In questo periodo abbiamo anche caricato sulle nostre chiavette il video dello spettacolo e per me è sempre una bellissima emozione rivederlo. Vi lascio uno scatto della mia variazione, sulle note di "Incanto" di Tiziano Ferro...




Ecco i miei preferiti di questo mese che sta per concludersi! 

Ne approfitto per augurare a tutti voi Happy Halloween (o una buona festività di Ognissanti, se preferite). Godetevi questo weekend, anche se purtroppo quest'anno non c'è un ponte... 

Grazie per la lettura, ci rileggiamo in novembre :-)