lunedì 23 novembre 2020

ROMANZO

 Storytelling Chronicles: novembre 2020




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di novembre con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!


Questo mese è speciale per me, perché, per la prima volta da quando ho aderito alla rubrica (a marzo) mi è stato chiesto di scegliere il tema dei racconti.


Ho pensato di lasciarmi ispirare dalla poesia, ed ho scelto cinque componimenti che potessero fare da “traccia”: Vedrai che è bello vivere di un anonimo del 1941, Romanzo di Arthur Rimbaud, Quando si sente ridere sulla collina di William Blake, Simile a un dio mi sembra… di Saffo e Dedicato a tutte le donne di Alda Merini.


Ognuna delle partecipanti di questo mese aveva il compito di scegliere una di queste poesie e di interpretarla in modo creativo, scegliendo ciò che più le piaceva: la storia raccontata, i personaggi, le tematiche, il periodo storico in cui è stata scritta… in assoluta libertà!


Ringrazio moltissimo le mie compagne d’avventura di questo mese per essersi prestate a una sfida che di sicuro era tutt’altro che facile. Spero che non mi abbiate maledetto troppe volte durante le ultime settimane!


Quanto a me… avendo lanciato il sasso, non potevo certo nascondere la mano!

La mia scelta, alla fine, è caduta sul mio preferito tra i cinque componimenti, quello di Rimbaud. Ho intitolato il mio racconto Romanzo, proprio come la poesia, e non vi nascondo che sono felice di aver messo finalmente su carta tutte le immagini che mi venivano in mente ogni volta che mi capitava di rileggerla. Spero che apprezzerete anche voi!




ROMANZO



Non si è seri, quando si hanno 17 anni.

- Una bella sera, tutto pieno di boccali e di limonata,

di caffè chiassosi dai lampadari scintillanti!

- Si va sotto i tigli della passeggiata.


I tigli ci sentono bene durante le belle sere di giugno!

L’aria a volte è così dolce, che si ferma la palpebra;

il vento carico di rumori – la città non è lontana, -

ha dei profumi di vigna e dei profumi di birra…

(Romanzo, Arthur Rimbaud)



Parigi, 5 novembre 1995


Mia cara Marianne,

forse questa mia lettera ti stupirà.

Quasi sicuramente la troverai non solo inaspettata, ma anche verbosa. Ti ricorderai di me come una persona poco incline alla parola scritta… più amante delle lunghe chiacchierate. Eppure oggi sento una grande esigenza di scriverti, di rovesciare ricordi ed emozioni sulla carta.

È ormai troppo tempo che non ti vedo e che non ti sento… si potrebbe dire quasi che non so più chi sei.


Sono tornato nella nostra Parigi, tanto diversa da quella che abbiamo conosciuto.

L’illuminazione è molto più moderna rispetto alle luci soffuse che ricordiamo, anche se l’atmosfera nostalgica e un po’ dolente dei boulevards resta la stessa. È metà pomeriggio e i lampioni si sono già accesi: insieme a novembre è arrivato anche il buio precoce. Un vento fresco sparpaglia le foglie cadute sotto alberi di latifoglie che di sicuro in estate sono stati frondosi. La grande strada che vedo dalla mia finestra è spoglia e grigia, pronta per essere invasa dal traffico dell’ora di punta. Nonostante il paesaggio non sia tra i più belli che la città possa offrire, sono proprio dove desidero essere, e poi mi basta fare pochi passi per ritrovare il mio Paradiso personale.


Il nostro lungo Senna, lo ricordi? Tra tigli e piccole luci, battelli e locali notturni.

Adesso cammino con il bastone e in un’oretta di passeggiata percorro solo un breve tratto, ma se chiudo gli occhi mi vedo ancora correre e saltare con tutto l’entusiasmo dei miei diciassette anni. 

Rivedo noi: io, unico erede dell'ambasciatore italiano in Francia, iscritto ad un prestigioso istituto e con pochissimo tempo libero; tu, figlia di un collaboratore dell'ambasciata, da sempre bilingue, iscritta ad una scuola più modesta, ma desiderosa di apprendere.


Spero che ti ricorderai, ma ci siamo conosciuti proprio così, tra i chiari ed eleganti palazzi di Rue De Varenne, aspettando i nostri padri che sembravano non finire mai di lavorare. Con i piedi che penzolavano dalle sedie imbottite, con l’irrequietezza degli adolescenti che proprio non riescono a stare fermi, con le giornate di primavera che entravano dalle ampie finestre.


Lo sento nel mio cuore: anche tu ti ricordi di tutto questo, e mi auguro che ogni tanto, quando la pesantezza della nostra età difficile sembra prevalere su tutto il resto, tu vada con il pensiero a quei giorni dorati.


Quanto a me, in questo pomeriggio dai toni un po’ spenti e crepuscolari ho bisogno più che mai di rievocare sulla mia pelle il calore delle sere di giugno che abbiamo vissuto insieme. Le mille scuse con i tuoi genitori, le tue compagne di scuola che ti facevano da alibi, l’attesa dietro l’angolo di casa tua. E poi le nostre camminate sul marciapiede, tra le vetture strombazzanti del sabato sera, piene di persone che si andavano a divertire; lo slalom per evitare lente coppie abbracciate sul viale, prendendo non di rado borsettate in faccia e qualche considerazione urlata sulla fretta dei ragazzi di oggi; l’arrivo sul lungo Senna, sotto l’esplosione verde dei tigli, con il vento caldo che portava profumi d’estate; i boccali di limonata che riuscivamo a rimediare ai chioschi vicino ai ponti, sedendoci su traballanti tavolini ed evitando di rovesciare le nostre bibite per un pelo.


Non sai quante volte ho ripensato a quella quieta e gioiosa estate del ‘27. Erano tempi sereni, un’âge d’or per Parigi, ma noi non lo sapevamo. Probabilmente siamo stati gomito a gomito con surrealisti in pieno brain storming creativo, abbiamo incrociato per strada Hemingway e Fitzgerald appena usciti a prendere una boccata d’aria fresca dopo un lungo pomeriggio passato a scrivere, abbiamo attraversato una fiera piena di celebrità dell’epoca… e a noi non importava nulla. Noi vedevamo solo dei chiassosi avventori che versavano sul tavolo vino e birra gesticolando in modo forsennato, mentre noi bevevamo la nostra limonata in silenzio, guardandoci negli occhi, perché avevamo parlato tanto, avevamo sete e non avevamo l’età per bere alcoolici; oppure dei maleducati autisti di rumorosi catafalchi, che procedevano lentamente sullo stradone, richiamando di continuo l’attenzione dei pedoni con clacson e braccia fuori dal finestrino, mentre noi, veloci come l’aria di giugno, ci rincorrevamo tra gli ampi fusti degli alberi, perché non avevamo nessuno da aspettare, a parte un sentimento che stava nascendo; o ancora degli allegri damerini che passavano le serate in piedi a parlare, mentre noi afferravamo i nostri bastoni di zucchero filato e ci riempivamo gli occhi e la bocca di colori e sapori, perché qualche volta, anche se ci eravamo conosciuti chiacchierando, le parole erano davvero superflue tra noi.


Quando la gamba mi fa più male del solito e decido di rilassarmi in poltrona con un po’ di musica, vorrei tanto rivivere una di quelle sere, e darei qualsiasi cosa per essere ancora un ragazzo che corre, salta e fa lo sgambetto a persone troppo lente per lui. Qualche volta c’è persino il fantasma di un ricordo che sembra inseguirmi: quello della serata del charleston.


* * *


Voi siete innamorato. Impegnato fino al mese d’agosto.

Voi siete innamorato. - I vostri sonetti la fanno ridere.

Tutti i vostri amici se ne vanno, voi avete cattivo gusto.

- Poi l’adorata, una sera, s’è degnata di scrivervi!

(Romanzo, Arthur Rimbaud)



Parigi, 3 agosto 1927


Dopo i temporali rinfrescanti della sera prima, l’aria si era di nuovo surriscaldata. I profumi dell’estate continuavano ad essere portati dal vento, e, dopo una camminata pomeridiana lungo gli ampi viali, era facile sentirsi stanchi e sudati.

Arturo era rimasto a casa tutto il giorno, in attesa di notizie di Marianne. Il sole aveva ricominciato a fare capolino dopo una brutta nottata e verso mezzogiorno aveva iniziato a bruciare. Non c’era molto da fare in quei giorni: i suoi amici dell’istituto erano tutti partiti per la Provenza o per la Costa Azzurra, in cerca di pezzi di cielo più limpidi, di climi meno umidi, di macchia mediterranea e sempreverde.

Solo Arturo, apparentemente bloccato dal lavoro del padre, che non poteva muoversi da Parigi, restava fedele ai tigli, al lungo Senna e soprattutto a Marianne.

Gli amici del college gli scrivevano continuamente, decantando le meraviglie della promenade lungo il mare, descrivendo la quiete delle pinete dell’entroterra, raccontando di gelati mangiati vicino alla spiaggia e moules et frites gustate lungo il porto. Il tono delle loro lettere e cartoline era quasi monocorde: “Dai, vieni anche tu, i miei genitori ti possono ospitare!” “Perché non chiedi a tuo padre un permesso per qualche giorno?” “Non vorrai passare in città tutta l’estate...”

Arturo rispondeva sempre di avere da fare e di volersi portare avanti con lo studio: la peggiore delle scuse possibili, dal momento che i suoi voti erano ottimi, soprattutto quelli nelle materie scientifiche. Erano settimane che a stento svolgeva i compiti delle vacanze. Non aveva occhi che per Marianne: lei durante il giorno guadagnava qualche soldo come bambinaia per una famiglia, ma le serate erano tutte per loro.


Per quella che era forse la decima volta da quella mattina, Arturo piantò in asso il quotidiano che stava distrattamente tentando di leggere e scese di corsa per controllare la cassetta della posta.


Si trattava di una sorta di gioco tra lui e Marianne: si lasciavano l’un l’altro dei biglietti nelle rispettive cassette della posta, da ritirare prima che i genitori tornassero dal lavoro, talvolta in italiano e talvolta in francese, e rigorosamente in rima.

Per Arturo, matematico provetto, era difficile dilettarsi con schemi di sonetti e canzoni, ma era una sfida che lo divertiva, e poi per Marianne avrebbe composto poesie anche sulla Luna.


Come al solito, la ragazza era passata per dirgli che lo aspettava dietro l’angolo di casa sua, all’ora consueta, per vivere la serata insieme. Quella volta, però, ella gli raccomandava di vestirsi nel modo più elegante possibile, perché aveva in serbo per lui qualcosa di speciale.


* * *


Poche ore dopo, Arturo si guardava intorno nervosamente, all’incrocio tra due strade, osservando ripetutamente l’ingresso di casa di Marianne. Era un po’ in ritardo… un comportamento non da lei. Lui si sentiva una specie di maggiordomo, con la camicia bianca e gli eleganti pantaloni neri, e quasi rimpiangeva la divisa dell’Istituto che, a giugno, aveva buttato senza rimpianti in fondo all’armadio.


Pochi minuti dopo, la porta si spalancò e uscì la più bella versione di Marianne che Arturo avesse mai visto. La ragazza correva leggera giù dalle scale, con un meraviglioso abito nero a frange svolazzanti, che le arrivava fino al ginocchio. Le scarpe avevano un piccolo tacco e lacci incrociati davanti. I lunghi capelli rosso dorato erano sciolti, ma all’altezza della fronte era stata aggiunta una fascia di paillettes nere con tanto di piuma.


Prima che Arturo potesse aprire bocca, Marianne, come suo solito, lo travolse con le parole: “Hai visto il mio vestito? Che ne pensi? Ti piace?”

...è molto bello” rispose Arturo. “Davvero. Ma dove dobbiamo andare?”

Lo scoprirai! Dai, muoviamoci!”


Marianne stava già quasi correndo, e ad Arturo non restò altra scelta che seguirla. Si rincorrevano per le più strette vie parigine, giocando a nascondersi e ridendo.

Sembravano quasi evitare i grandi vialoni dritti, quelli che erano stati progettati un secolo prima da un architetto ambizioso, al servizio di un re altrettanto innamorato del potere. Preferivano infilarsi nei cunicoli un po’ angusti e bui della Parigi di inizio ‘800, quelli che tanti poeti prima di loro avevano cantato e spesso anche rimpianto, sentendosi come cigni senza più stagno di fronte alle riforme architettoniche che erano state loro imposte.


Ad un certo punto, Marianne si fermò vicino ad una piccola porta dove c’erano già in fila una decina di ragazzi che sembravano avere la loro età.

Che posto è?” chiese Arturo dubbioso.

È un locale dove si balla charleston. Non sai cos’è?”

Arturo scosse la testa. Era piuttosto esperto di musica parigina, ma non aveva mai sentito quella parola inglese.

È un nuovo ballo! È arrivato dall’America già un paio di estati fa… e tu dov’eri?” rispose Marianne con un gran sorriso.

Non avevo ancora conosciuto te, avrebbe voluto rispondere Arturo, ma si limitò a dire: “A sentire musica da vecchi con quelli dell’Istituto, credo.”

Beh, non importa! Siamo fortunati, le mie amiche mi hanno parlato di questo posto dove basta avere sedici anni per entrare!”

Arturo era perplesso. “Marianne, ma… sei sicura che sia legale?”

In tutta risposta, la ragazza sorrise furbescamente. “Entriamo, dai.”



L’aria dentro il locale era calda, densa di fumo, quasi opprimente. Le troppe sigarette che erano state fumate all’interno avevano creato una sorta di cappa grigia che si muoveva fluidamente sopra le teste delle coppie di ballerini. Arturo distingueva bellissime e giovani ragazze vestite più o meno come Marianne, in un baluginio di paillettes nere, raso viola, seta blu, con qualche audace accenno di rosso. I ragazzi, in camicia e pantaloni come lui, faticavano a stare dietro ai veloci movimenti delle loro partner, che agitavano gambe e braccia in un modo che egli non aveva mai visto.

In fondo al locale si intravedeva un’orchestrina composta da pochi elementi, che però suonavano con entusiasmo. Una cantante alta e bruna, avvolta in un tubino scuro corredato di guanti e cappello con veletta, intonava una canzone che tutti, nel locale, sembravano conoscere, a giudicare dai cori che accompagnavano ogni ritornello:


Yes sir, that’s my baby

No sir, I don’t mean maybe

Yes sir, that’s my baby now

Yes, ma’am, we’ve decided

No ma’am, we won’t hide it

Yes, ma’am, you’re invited now…


Arturo? Balliamo anche noi?”

La voce di Marianne era dolce in mezzo a tutto il clamore. Arturo le sorrise, sempre più convinto che ogni sera accanto a lei fosse un’avventura che non cessava di stupirlo.

Sì, balliamo.”


* * *


- Quella sera là… - Voi rientrate nei caffè scintillanti,

domandate dei boccali o della limonata…

- Non si è seri, quando si hanno 17 anni

e ci sono dei tigli verdi sulla passeggiata.

(Romanzo, Arthur Rimbaud)



Parigi, 5 novembre 1995


...mia cara Marianne,

proprio adesso mi sono rimesso ad ascoltare la nostra canzone, quella che ci ha fatto tanto divertire quella volta, che mi ha fatto scoprire il mondo del charleston, che in qualche modo è diventata il simbolo delle meravigliose serate con te.


Chissà se anche tu hai comprato un moderno stereo, proprio come me. Chissà quali musicassette inserisci: mi chiedo se ti piacciano ancora i classici, o se in questi lunghi decenni i tuoi gusti siano cambiati.


In questi giorni, però, mi è capitato soprattutto di chiedermi che cosa ne sia stato di te dopo che il lavoro di mio padre mi ha portato in Inghilterra, e poi definitivamente in Italia. Al tempo avevamo pianto, ci eravamo fatti tante promesse, ma poi il tempo e la vita ci avevano divisi. I nostri sonetti in rima erano sempre più scarni e distratti: io ero costantemente preso dai miei studi e dai miei numeri, tu invece sembravi lontana, forse già felice per un nuovo amore.


Non ho il coraggio di pensare che tu abbia perso la vita durante l’occupazione nazista della Francia, oppure nel corso della guerra. Mi piace pensare che, come me, anche tu abbia avuto una vita lunga, piena, soddisfacente (almeno il più delle volte). Io sono diventato un professore di matematica e scienze, sai? Proprio come avevi predetto tu. Ho completato gli studi tra l’Inghilterra e l’Italia, poi sono rimasto per tutta la vita a Roma, insieme alla donna di cui mi sono innamorato e che ho sposato.


L’ho persa poco più di un anno fa e da allora ho iniziato a sentirmi confuso io stesso. I numeri, le formule, le espressioni che per tutta la vita mi erano stati chiari nella mente, all’improvviso hanno iniziato a danzarmi davanti agli occhi, proprio come le gambe di una ballerina di charleston. Questo iniziale sbandamento mi ha portato a dimenticarmi le cose più semplici, a fare sbagli banali nel gestire la casa e le mie solite commissioni, ad avere delle lunghe serate in cui cerco di riportare alla memoria ricordi che ho sempre custodito nel cuore e che ora mi sembra di dover estrarre dal buio fondo di un pozzo.


Per fortuna avevo già da tempo l’aiuto di Giovanna, una signora che provvede alla pulizia della casa e dà una mano in cucina. L’ho assunta a tempo pieno, perché mi rendo conto che tra qualche mese inizierò a far fatica a gestirmi da solo, e le ho proposto di accompagnarmi qui, in una casa in affitto a Parigi, nel mio luogo del cuore, per un breve soggiorno: una parentesi di qualche settimana per godermi l’autunno, vedere i tigli spogliarsi e, perché no, intravedere le prime luci di Natale.


Il mio medico era un po’ riluttante quando gli ho comunicato la mia idea di viaggiare. Ha accettato solo quando gli ho confessato di sentire il bisogno di ritrovare le mie origini e la mia giovinezza.


C’è un patto tra noi: io posso restare qui, passeggiare, godermi la città, ma devo sforzarmi di scrivere il più possibile a proposito della mia vita e del mio passato, almeno un’ora al giorno. Ecco il vero perché di questa lettera, mia cara Marianne: tu sei uno dei capitoli più gioiosi di un diario epistolare che ormai conta parecchie pagine. Una novella felice all’interno di quello che inizia a sembrare sempre più un romanzo… e invece è solo il resoconto di un’esistenza come tante.


Ho iniziato questa collezione di lettere scrivendo a mia moglie per pagine e pagine, ricordando gli studi e le sfide professionali che abbiamo condiviso, le nostre vacanze, gli amici che ci sono stati vicini, la nostra quotidianità che mi manca terribilmente. Poi ho scritto ai miei genitori, ai quali penso ancora tanto; ai miei amici di sempre, a quelli che avevo conosciuto qui all’Istituto parigino ed in Inghilterra, ed anche a Giovanna, perché voglio ringraziarla per tutto quello che sta facendo per me.



Per scrivere a te ho aspettato un giorno speciale. Io ho ottantacinque anni e so bene che a diciassette, per tanti versi, non si è seri. Noi di certo non lo eravamo: ridevamo e bevevamo limonata mentre intorno a noi artisti celebri ideavano quadri e romanzi; percorrevamo in lungo e in largo Parigi incuranti delle ferite che la città ancora esibiva a meno di dieci anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, e ignari delle tragedie che gli anni ‘30 ci avrebbero portato; ci infilavamo in locali al limite della legalità per apprendere un nuovo ballo, importato da una nazione che presto avrebbe vissuto uno dei momenti più duri della sua storia. Eppure, più ripenso a quell’estate luminosa, più credo che è così che si dovrebbe vivere: giorno dopo giorno, grati del presente, felici per le sciocchezze, curiosi nello scoprire qualcosa di nuovo, innamorati della propria esistenza.


Ho ancora un buon numero di giorni a disposizione per attraversare il lungo Senna e sperare di incontrarti ad uno dei nostri chioschi. Se vorrai, ti aspetto sotto i nostri tigli, per raccontarci come sono andate le nostre vite. È passata un’eternità, ma sono sicuro che saprò chi sei non appena mi rivolgerai lo stesso sorriso dei tuoi 17 anni.


Con immutato affetto,

Arturo



FINE



ALCUNE PRECISAZIONI


1) Nel racconto sono presenti alcuni riferimenti al film di Woody Allen Midnight in Paris, che racconta con garbo e ironia la Parigi degli anni ‘20: i surrealisti ubriachi, gli scrittori americani in trasferta, le fiere con tanto di giostre e zucchero filato. Ho amato l’atmosfera di quella pellicola ed ho cercato di ri-raccontarla.


2) L’architetto che nel XIX secolo aveva rinnovato Parigi era Haussmann: egli, finanziato dall’imperatore Napoleone III, aveva trasformato la città, un tempo tentacolare e fatta di piccole vie tortuose, in una metropoli moderna, costituita da vialoni e grandi opere di architettura contemporanea.


3) Il cigno senza più stagno è un'immagine del poeta Baudelaire (di cui parlo meglio a questo link), che aveva mal digerito le riforme architettoniche nella sua Parigi. Egli, nella sua poesia Le cygne, descrive questa immagine e la dedica a Victor Hugo, il letterato che per lui è il cantore per eccellenza dell’esilio, tematica chiave del componimento.


4) La canzone Yes Sir, that’s my baby, cantata da Lee Morse, è stato un successone del 1925, ed è stato il primo caso di importazione di charleston americano in terra francese (ed europea in generale). Ne esistono varie cover, tra cui una di Sinatra. 

(Link video per l'ascolto)




Ringrazio di nuovo le mie compagne di avventura del gruppo “Storytelling Chronicles”, e mando un grande abbraccio a tutti voi che leggete di mese in mese i miei racconti. Da marzo a oggi ho ricevuto tanti bellissimi commenti che per me sono stati di grande incoraggiamento, e, se finora sono stata costante con la rubrica e ho sperimentato vari generi e tipi di narrazione, è anche merito vostro.

Io ho scritto molto, quindi lascio la parola a voi!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


21 commenti :

  1. Ciao buon giorno. Tutto ok? Sono brasiliano e carioca di Rio de Janeiro. Voglio presentare il mio Blogger su cultura, viaggi e turismo. Vorrei invitarti a seguire il mio Blogger. Sou o seguidor 151.

    https://viagenspelobrasilerio.blogspot.com/2020/11/praias-de-vitoria-es.html?m=1

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    1. Ciao, grazie mille per il follow! Vado a dare un'occhiata al tuo blog :-)

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  2. Adoro i romanzi o i racconti epistolari. Brava!

    Comunque io avrei scelto la poesia della Merino, perfetta anche per il periodo, considerando che ci avviciniamo al 25 novembre.

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    1. Ciao Claudia! La poesia di Alda Merini è molto bella ma stavolta la mia ispirazione è andata da un'altra parte :-)

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  3. Ciao Silvia! Innanzitutto, grazie per questa sfida: scrivere lasciandosi ispirare da una poesia è stato davvero impegnativo, però hai scelto dei componimenti molto belli e invitanti, e di sicuro ci hai lanciato un tema super interessante di sviluppare, di questo ti sono grata. Venendo al tuo racconto, sono felicissima che tu abbia scelto questa poesia: era stata, a una prima lettura, anche la mia scelta, ma non sono riuscita a darle giusto risalto. Tu invece l'hai presa e fatta tua, e ci hai donato una storia che a mio avviso rispecchia a pieno il tema scelto ed è - come sempre - scritta perfettamente. Sono entusiasta! Mi hai fatto fare un tuffo a Parigi accompagnandomi per mano assieme ai due protagonisti di questa narrazione, ed è stato un viaggio ricco, di ricordi e di emozioni. Mi è piaciuto molto come tu sia riuscita poi ad unire alla parte poetica anche una parte musicale, e non di meno ho apprezzato l'idea di quest'uomo che scrive alle persone care del passato per ricordarle e rendergli grazie di quanto hanno condiviso assieme. Ugualmente, credo la frase finale sia un insegnamento da stamparsi nel cuore. A lettura finita mi resta nella mente una domanda, che ti pongo: Marianne risponderà, vero? :) Ancora complimenti! E grazie! Un abbraccio, Stephi

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    1. Ciao Stephi! Innanzitutto ti sono grata io per prima, per aver accettato la mia sfida poetica. Prestissimo leggerò il tuo racconto! Grazie mille per le bellissime parole, sono proprio contenta che la storia sia piaciuta.

      La tua domanda mi prende un pochino alla sprovvista: non avevo pensato ad un sequel in effetti, mi piaceva l'idea della lettera di Arturo come unica storia. Comunque provo a pensarci, magari a sorpresa l'ispirazione arriverà!
      Ricambio l'abbraccio :-)

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  4. Prima di tutto, voglio farti i complimenti per avermi fatto apprezzare l'ambientazione francese. Non ne vado particolarmente entusiasta di solito ma tu sei riuscita a farmi piacere Parigi attraverso questi bellissimi ricordi. Poi le tue ultime parole mi hanno provocato dei brividi, ti giuro. Hai fatto un ottimo lavoro, complimenti.

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    1. Ciao Tania! Sono davvero super contenta di averti fatto apprezzare Parigi :-) Grazie mille per le belle parole!

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  5. Ciao Federica! Grazie mille per tutti i complimenti, sono felice che tu abbia apprezzato la mia ricostruzione di luoghi e tempi! :-)

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  6. Ciao. Abbiamo usato la stessa poesia ed è molto bello vedere come abbiamo avuto idee diverse e l'abbiamo usata in modo diverso, anche se i versi erano gli stessi. Complimenti per il racconto, molto bello, mi è piaciuto come questo uomo cerca di ricordare il suo passato e la sua vita, mi sono sentita triste nell'apprendere che stava perdendo pezzi della sua vita. E' un tema che mi colpisce sempre perché è la mia paura più grande quella, quindi il tutto mi ha toccata nel profondo. Complimenti ancora.

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    1. Ciao Christine! è vero, abbiamo usato la stessa poesia, ma ci siamo fatte ispirare da idee diverse. Purtroppo la paura di perdere i ricordi e con essi dei pezzi di vita è un incubo di quasi tutti. Io ho cercato di raccontarla in modo non drammatico, ma, se possibile, propositivo: Arturo sta scrivendo il "romanzo" della sua vita, ed i suoi ricordi saranno sempre consultabili, per sè e per gli altri. Grazie mille per le belle parole, sono contenta che la storia ti sia piaciuta!

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  7. Ciao Silvia! Innanzitutto, ancora grazie per la sfida bellissima a cui ci hai sottoposto questo mese, di certo hai messo alla prova il nostro amore per la poesia e la nostra fantasia!
    Per quanto riguarda il tuo racconto devo dire che sono rimasta "incastrata" tra le righe dal sapore antico e unico che hai scritto. Come in altri tuoi lavori, ho notato la tua capacità di scrivere di tempi andati come se fosse un tempo presente, bravissima nel ricalcare lo stile poetico di Rimbaud e farlo in qualche modo tuo. L'ambientazione francese gioca, a mio avviso, un ruolo fondamentale, perché rende la struttura epistolare molto più convincente e "magica", sì, mi sento di usare questa parola per l'atmosfera particolare che sei riuscita a creare. Davvero fantastica, ancora complimenti e al prossimo racconto ❤

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    1. Ciao Anne Louise! Grazie mille, sono davvero felice di sapere che le atmosfere che ho ricreato ti hanno colpito! Ti ringrazio per aver a tua volta raccolto la sfida poetica. Il tuo entusiasmo mi conforta sempre! Grazie di cuore per le belle parole e alla prossima!

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  8. Bellissimo: nostalgico e delicato, proprio le storie che piacciono a me.
    Hai ricostruito molto bene le atmosfere e le sensazioni.
    Ogni mese leggerti è una gioia.

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    1. Ciao Simona! Grazie mille per le belle parole :-) Mi emoziona pensare che tu sia felice nel leggermi!

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  9. È già stato detto prima del mio arrivo, ma non posso esimermi dal "copiare" la definizione! Il tuo racconto è proprio la personificazione della nostalgia :3 Come al solito, dando vita a uno storico, essendo il TUO genere -"Ti invidio" parte 1 AHAH-, hai realizzato qualcosa di magnifico e mi è piaciuto tantissimo leggere nero su bianco le tue riflessioni in merito al componimento di Rimbaud: la tua immaginazione è sconfinata -"Ti invidio" parte 2 AHAH- e ha fatto pure centro con la tematica da te scelta ;) Brava davvero :3

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    1. Ciao Lara! è vero, la nostalgia è un ingrediente importante di questo racconto, e credo che lo abbiate percepito tutti! Non so dirti ancora se lo storico è in assoluto il "mio" genere... ma di sicuro è uno di quelli con cui mi trovo più a mio agio! Però non invidiarmi l'immaginazione, ti assicuro che tu sei messa benissimo in merito :-)

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  10. Stupendo, meraviglioso. Ci hai condotte nella Parigi dei meravigliosi anni '20, facendocela scoprire con gli occhi di due adolescenti. Hai saputo ricreare la magia dei diciassette anni e la nostalgia che si prova in seguito per quell'età, così spensierata e piena di innocenza. Complimenti, Silvia. E grazie per averci fornito queste poesie meravigliose che sono state fonte di ispirazione per tutte noi. Buon anno. Silvia di Silvia tra le righe.

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    1. Ciao Silvia! Innanzitutto tanti auguri di buon anno, anche se in ritardo :-) Grazie per le belle parole che hai riservato al mio racconto, l'intento era proprio quello che hai descritto!

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  11. Molto bello.
    Mi soffermo su quegli ottantacinque anni del protagonista del tuo romanzo.
    Arturo spera che la sua amata Marianne sia viva.
    La decisone di aspettare , di non sapere la sua sorte per me corrisponde alla sua intenzione di voler cristallizzare il ricordo.
    L’amore che vive in quel ricordo.
    I diciassette anni son passati la vita ha portato i protagonisti a seguire strade diverse ..le esperienze li han fatto maturare e di quella passeggiata sotto i tigli , di quelle limonate e di quel ballo non rimane che il ricordo.
    Forse la scelta di Arturo di scrivere quella lettera a quel suo primo amore in tarda età sta nella consapevolezza che non riceverà mai una risposta.
    E quell’amore vivrà sempre in eterno dentro di lui.’
    Complimenti per il racconto e perdonami per la mia modesta interpretazione.
    Ciao

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    1. Ciao Max! Grazie mille per la lettura e per la tua interpretazione molto calzante. Eh sì, Arturo vuole salutare tutte le persone importanti della sua vita, tra cui Marianne, il suo primo amore. Purtroppo sa di star perdendo lucidità giorno dopo giorno... e così ha deciso di fissare ricordi ed emozioni su carta.
      Sono contenta che la storia ti sia piaciuta!

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