venerdì 5 maggio 2023

STORIA DI CHI FUGGE E DI CHI RESTA

 Rilettura del terzo volume della tetralogia di Elena Ferrante




Cari lettori,

eccoci giunti all’appuntamento con il progetto “Donne straordinarie” e con la rilettura della tetralogia di Elena Ferrante!


Dopo aver riletto insieme "L'amica geniale" a marzo e "Storia del nuovo cognome" ad aprile, oggi parliamo del terzo volume, Storia di chi fugge e di chi resta.


Sono molto contenta di raccontarvi questo romanzo perché la visione della terza stagione della fiction, per me fatta benissimo, è una delle motivazioni principali per cui ho deciso di intraprendere questa rilettura. Leggere di come Lila e Lenù hanno affrontato il tempo di mezzo, l’età tra i 25 ed i quasi 40, mi ha toccato da vicino. Ho sentito di comprendere profondamente tante esperienze, sensazioni ed emozioni che hanno provato le due protagoniste, ed ora sono lieta di potervene parlare. Vediamo insieme la storia più da vicino!



Lenù: scrittrice e madre di famiglia


Il secondo romanzo, Storia del nuovo cognome, termina con una presentazione del primo libro di Lenù, La divagazione, presentazione interrotta in modo piuttosto maleducato da un detrattore, e poi da Nino Sarratore, primo amore mai dimenticato da Lenù, che anni prima ha avuto una relazione con Lila.


La primissima parte del romanzo affronta luci ed ombre della neonata carriera da scrittrice di Lenù. Da un lato ella si sente realizzata, lontana dalle sue origini: si è laureata in Lettere alla Normale di Pisa, ha scritto un libro, sta per entrare in una importantissima famiglia di accademici ed editori. Dall’altro, però, non appena ella torna a casa sua, al rione, si rende conto di non avere quasi più contatto con le persone con cui è cresciuta, che non hanno gli strumenti e le capacità per comprendere le sue scelte, né tantomeno quello che ha scritto.


La madre Immacolata le rinfaccia di sentirsi superiore a loro, di non essersi presa cura dei fratelli che non hanno mai imparato a studiare come lei, ed esprime perplessità a proposito del suo matrimonio con Pietro, soprattutto dopo aver scoperto che avverrà con rito civile. Soltanto la promessa di soldi per aiutare la famiglia la acquieta. Quanto al resto del rione e dei suoi vecchi amici, la fama del suo romanzo si è sparsa, ma tutti hanno letto soltanto le poche scene di sesso che vi sono contenute, e la giudicano male dal punto di vista morale (qualcuno, come Michele Solara, arriva persino ad insinuare che la vera mente del romanzo sia Lila, perché la studiosa, irreprensibile Lenù non potrebbe mai vivere sulla propria pelle certe “porcherie”).


Lenù si scrolla presto di dosso il peso di queste cattiverie, perché la tournée di promozione del suo romanzo è lunga e tocca anche grandi città come Milano, dove il ‘68 ha lasciato la sua scia e le idee rivoluzionarie del movimento studentesco fanno sembrare il suo romanzo quasi un’opera di letteratura tradizionale. Lenù si rende conto di essere a metà: da una parte la pruderie esagerata del suo vecchio mondo, che nasconde violenza e sopraffazione, dall’altro il suo nuovo universo, fatto, ai suoi occhi, di cultura e condivisione.


Ella abbraccia con tutta se stessa la sua nuova vita, perché, anche se intuisce che non tutto è perfetto, la paura di tornare a condurre un’esistenza simile a quella delle ragazze con cui è cresciuta è troppo grande. Il matrimonio con Pietro è costituito da una breve cerimonia in Comune e da un grande evento organizzato dalla suocera Adele, al quale Lenù partecipa con gioia… senza sapere che sarà l’ultimo per molto tempo, purtroppo.


Nel momento in cui inizia per lei la vita matrimoniale, infatti, la musica inizia lentamente a cambiare. Pietro, che in tanti altri ambiti ha sempre dimostrato una grande apertura mentale, ha opposto motivazioni sciocche e deboli al desiderio di Lenù di prendere la pillola, e quest’ultima ha finito per non prenderla, così resta incinta molto presto. Ad una gravidanza serena segue purtroppo una maternità difficile, tra allattamento a tutte le ore del giorno, lavoro di cura per mandare avanti la famiglia ed il totale abbandono sia del progetto del nuovo romanzo che degli interessi e degli studi culturali, e questa situazione inizia a pesare sull’unione tra Lenù e Pietro.


Ecco, non per buttarla sempre sul personale (o quasi), ma io credo che le pagine che raccontano le difficoltà di Lenù in questo senso siano ancora straordinariamente attuali. Non sono più gli anni ‘70, però è vero che puoi essere la donna più intellettuale ed emancipata del mondo, e sposare un uomo per tanti versi illuminato, ed il rischio di trasformarti in una serva fidata, come dice saggiamente Gigliola ad un certo punto del romanzo, non appena inizi una convivenza/matrimonio, e ancora di più quando diventi madre, è comunque e sempre altissimo. Ho conosciuto più di una “Lenù” e personalmente mi terrorizza l’idea di diventare così. Quello che mi fa più arrabbiare è che, quando si tocca questo tasto, tante persone tirano in ballo il cambiamento per amore. Ebbene, io l’ho sperimentato, con la famiglia e con gli amici – anche se quando provo a spiegarmi ricevo un coro di “ma che c’entraaa”, ma esistono tante forme di amore – e posso dire che il cambiamento per amore ti arricchisce, non ti toglie niente di tuo e soprattutto è personale (ognuno è diverso, ama ed è amato da persone diverse, e quindi cambia con modalità diverse). È qualcosa di bellissimo.

Ecco, io fatico a definire quello che capita a Lenù e moltissime altre un cambiamento per amore. Il fatto che donne simili a lei sacrifichino subito sull’altare della coppia stabile/maternità i propri interessi e studi, poi le amicizie (specie quelle con persone single) e infine pian piano anche la famiglia d’origine (forse solo il lavoro si salva, con questa crisi)… ecco, io fatico a non definirlo un pattern sempre uguale, un condizionamento sociale.



Lila: tra impegno politico e scelte personali


Certo la vita di Lenù non è facile, ma quella di Lila è molto più difficile.


Ella continua a vivere con Enzo e ad avvicinarsi pian piano a lui, lavorando nel salumificio di Bruno Soccavo e studiando sulle dispense di informatica fino a tarda sera. Il rione sembra lontano dopo la rottura con Stefano, ma all’improvviso, nella loro vita, torna Pasquale Peluso, vecchio amico di entrambi, ora diventato segretario della sezione del Partito Comunista della zona.


Pasquale ha ricevuto segnalazioni in merito a come gli operai del salumificio vengono trattati ed è molto interessato a saperne di più da Lila, che sa bene essere una personalità che trascina gli altri. Lila al momento rifiuta di farsi coinvolgere; poi accetta di parlare ad una delle riunioni del partito, ma scopre con sua grande delusione di essere circondata da ricchi idealisti (come Nadia, la figlia della professoressa Galiani) che vedono “l’operaio” come un’entità mitica da cui prendere esempio per imparare che cosa nella vita significa il sacrificio. Lila, come suo solito, è dissacrante e fa comprendere a chi ha intorno che non c’è niente di glorioso in quello che ella fa ogni giorno, anzi, per lei il lavoro è una fatica brutta ed umiliante.


Che ella lo voglia o no, in ogni caso, le agitazioni degli anni ‘70 entrano a gamba tesa nella sua vita: Bruno Soccavo chiama i fascisti (capitanati dal primo fidanzatino di Lenù, Gino il farmacista) a mantenere l’ordine in fabbrica, Pasquale ed i suoi arrivano all’entrata dello stabilimento e c’è uno scontro a manganellate, Lenù decide di aiutare l’amica con un articolo di denuncia sull’Unità che però suscita l’indignazione di Pasquale e Nadia, ormai diventati una coppia anche nella vita.


Ho trovato queste pagine non solo molto ben scritte, ma anche rese particolarmente bene in tv. I primi due volumi della tetralogia narravano gli anni ‘50 e ‘60, ma il punto di vista raccontato, ad eccezione dei capitoli ambientati a Pisa, era quasi soltanto quello del rione, o di Napoli. Come però afferma Lenù nel prologo del romanzo, alcune dinamiche del rione si ritrovano in Napoli, quelle di Napoli nell’Italia intera, quelle italiane nel mondo. Così le due protagoniste vivono gli anni ‘70 uscendo dal rione, per comprendere però amaramente che davvero tutto il mondo è paese.


Quello che per Lila è il punto di non ritorno, dopo una lunga lotta sindacale di cui ella si fa suo malgrado portavoce, è la scoperta che Bruno Soccavo, già di per sé detestabile e l’ombra dell’amico di gioventù, non è poi così lontano dal rione come potrebbe sembrare. Egli, infatti, è da tempo sul libro paga di Manuela Solara, la più temibile strozzina del rione. Vedere Michele Solara al salumificio è per lei la goccia che fa traboccare il vaso: ella fugge e si licenzia.


Quello che mi ha colpito particolarmente nella serie di Saverio Costanzo è il fatto che vengano inserite tre parole che nel romanzo non ci sono, ma che sono fondamentali: Lila era crollata. È come se lo sceneggiatore volesse dirci: cosa succede quando “molla” un’incrollabile, una persona che sembrava non sarebbe caduta mai? Nessuno di noi può resistere a tutto, e la crisi di panico di Lila, segnale d’allarme di alcuni suoi problemi di salute, ne è la prova.



La scoperta di se stesse e dell’ “invenzione” da parte del maschio



Sono anni di grandi cambiamenti per entrambe le protagoniste.


Lila, una volta compreso che Stefano ha problemi molto più gravi di cui occuparsi che un suo eventuale ritorno a casa, e che i Solara non hanno ragioni di rancore nei suoi confronti, decide di tornare con Enzo e Gennaro al rione, e di iniziare a lavorare alla IBM insieme al compagno, mettendo a frutto gli studi fatti anni prima.


Lenù invece, diventata madre di Adele e di Elsa, decide di prendere un aiuto a tempo pieno in casa sua e riprende gradualmente la vita di prima, tentando anche di mettere mano al suo secondo romanzo.


Il rapporto tra di loro, però, subisce molte battute d’arresto. In particolare un episodio, che ha per protagonista la professoressa Galiani (come accaduto tanti anni prima), ormai invecchiata ed inacidita dalle delusioni che le ha dato Nadia, sembra dividerle per sempre.


L’ascoltai per tutto il tempo, sopraffatta. Non c’era modo con lei di acquietarsi, ogni punto fermo del nostro rapporto prima o poi si rivelava una formula provvisoria, presto le si smuoveva qualcosa nella testa che la squilibrava. Non capii se quelle parole servivano di fatto a chiedermi scusa, se parlava per finta coprendo sentimenti che non aveva intenzione di confidarmi, se puntava a un addio definitivo. Di certo era falsa, e ingrata, e io, malgrado tutti i miei cambiamenti, seguitavo ad esserle subalterna. Di quella subalternità sentii che non sarei mai riuscita a liberarmi e questo mi sembrò insopportabile.”


Anche queste pagine del romanzo mi sono piaciute molto. L’autrice, con grande realismo, delinea le fasi di un rapporto che cresce e cambia con il tempo, che affronta crisi molto profonde e poi, spinto dall’affetto, le supera.


Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, anche grazie alle “recensioni negative” di Lila, Lenù riesce a trovare la giusta idea per il nuovo romanzo. Dopo qualche anno di matrimonio, infatti, ella rinsalda i rapporti con Mariarosa, sua cognata, che è molto impegnata con il neonato movimento femminista.


Pietro, manco a dirlo, non approva le nuove scelte di lettura e scrittura di Lenù, ma quest’ultima sente che… è proprio questo il punto. Insieme a Mariarosa ed alle altre ragazze con cui si ritrova periodicamente, si rende conto di essere persa, di non conoscere bene i suoi punti di riferimento… perché quelli che ha seguito finora erano sempre stati dettati dagli uomini. Al rione c’erano capi violenti e padri padroni; all’Università seriosi professori che davano le linee guida; negli ultimi anni, Pietro e gli altri intellettuali alle cui regole conformarsi.


L’invenzione delle donne da parte degli uomini, che si innamorano di un ideale e cercano di far adeguare ad esso la donna che hanno davanti, è una delle tante grandi verità di questo romanzo. Purtroppo devo confessare che più volte mi è capitato di parlare con un uomo ed avere in risposta varianti del concetto “Sì, tu sei fatta così/ la mia compagna è fatta così/ le donne fanno così, ma adesso sono arrivato io e le cose cambieranno”. Senza generalizzare perché non sarebbe giusto, in vasta percentuale è ancora vera quella frase, sempre di Elena Ferrante, che gli uomini sono convinti che ad ogni loro impresa le donne li metteranno sull’altare come San Giorgio sul drago.


Riconoscere le eccezioni in questo sistema fondato su un’educazione errata di entrambi i sessi è davvero difficile. Lila, dopo più di uno sbaglio, riesce a trovare un porto sicuro con Enzo. Lenù, invece, alla fine del romanzo, commette un’inaspettata deviazione.



Quello che fai tu faccio anch’io”


Questa è la frase che Lenù dice a Lila all’inizio de L’amica geniale, quando entrambe buttano le loro bambole nello scantinato di Don Achille. Basterebbe questa frase a sintetizzare l’intera tetralogia.


Nel corso del terzo romanzo Lenù è quasi ossessionata dall’idea di distaccarsi finalmente da Lila, di diventare una persona diversa rispetto a quel modello che continuamente la tormenta:


Diventare. Era un verbo che mi aveva sempre ossessionata, ma me ne accorsi per la prima volta solo in quella circostanza. Io volevo diventare, anche se non avevo mai saputo cosa. Ed ero diventata, questo era certo, ma senza un oggetto, senza una vera passione, senza un’ambizione determinata. Ero voluta diventare qualcosa – ecco il punto – solo perché temevo che Lila diventasse chissà chi e io restassi indietro. Il mio diventare era diventare dentro la sua scia. Dovevo ricominciare a diventare, ma per me, da adulta, fuori di lei.”


Quello che più opprime Lenù è la sensazione di essersi sempre controllata fin troppo: eccezionale negli studi per la paura di restare indietro e diventare come le ragazze del rione, veloce ed efficiente nel trovare un “buon partito” che non ha mai amato davvero ma le ha consentito di cambiare vita, e poi madre di famiglia impeccabile, con annessa attività da scrittrice e giornalista.


Tutto cambia quando, per via del lavoro di Pietro, rientra nella sua vita Nino, diventato anch’egli professore universitario. Non è più il ragazzo insicuro e pensieroso che ella ha conosciuto: si è sposato con Eleonora, una donna della Napoli bene, ha un figlio piccolo, Albertino, ed ha fatto carriera in Università.


Proprio l’altra settimana vi ho recensito un romanzo in cui si parla di manipolazione narcisistica… ed il comportamento di Nino, in questo senso, è da manuale. Prima egli si mostra come una persona piacevole, simpatica, attenta agli occhi di tutti: stringe amicizia con Pietro, gioca con le bambine, rievoca l’adolescenza con Lenù. Poi, pian piano, inizia il suo procedimento di svalutazione: critica Pietro perché lascia poco tempo a Lenù per il suo lavoro, si insinua nei problemi della coppia, semina cattiverie facendo finta che si tratti di battute ironiche. Il risultato è prevedibile: il già fragile matrimonio inizia a tentennare, e Lenù cade in preda di una vera e propria confusione emotiva.


Nei giorni seguenti scontri di quel genere si moltiplicarono. Lo tenevo a bada, lo rimproveravo, e intanto mi disprezzavo. Ma provavo anche rabbia: cosa si pretendeva da me, cosa dovevo fare? Amavo Nino, lo avevo sempre amato: come facevo a strapparmelo dal petto, dalla testa, dalla pancia, ora che anche lui mi voleva? M’ero costruita fin da piccola un perfetto congegno autorepressivo. Non uno dei miei desideri veri era mai prevalso, avevo sempre trovato il modo per incanalare ogni smania. Ora basta, mi dicevo, che salti in aria tutto, anche io per prima.”


Lenù si è privata di troppo, troppo a lungo, e Nino lo sa, non attende altro. Come prevedibile, ella alla fine, dopo un lungo tira e molla, cade nella trappola e lascia Pietro, fuggendo con Nino per un convegno in Francia.


Prima di partire c’è un’ultima telefonata con Lila, un duro momento di confronto in cui l’amica le mette di fronte la verità: Lenù non sta “diventando” proprio niente al di fuori di Lila, anzi, sta commettendo il medesimo errore che lei ha fatto anni prima, fuggendo da un matrimonio infelice con Nino ed aggrappandosi a lui come se fosse una speranza concreta… con in più l’aggravante che Lila non avrebbe mai trovato un modo pacifico per liberarsi di Stefano, violento e malvivente, mentre Lenù avrebbe potuto semplicemente divorziare e vivere liberamente.


Quello che fa Lila, fa anche Lenù, insomma. Ed infatti l’epilogo infelice di questa storia d’amore appena nata è già scritto.




Si capisce che Storia di chi fugge e di chi resta mi ha fatto riflettere molto, eh? Credetemi, ne avrei ancora di cose da dire, ma per pietà nei vostri confronti mi fermo qua :-)

Devo ancora leggere Storia della bambina perduta, il romanzo che ricordo di meno e che non è stato ancora portato sul piccolo schermo (anche se la fiction è in lavorazione). Spero di potervene parlare a giugno, ma se gli impegni non mi aiuteranno lo farò a luglio!

Per ora raccontatemi le vostre impressioni su questo volume della tetralogia!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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