Recensioni classiche 2024
Cari lettori,
concludiamo insieme questo percorso fatto nel 2024 con “un classico per ogni bimestre”!
Prima di parlarvi dell’argomento odierno, un breve recap delle “puntate precedenti”.
Mi sono concentrata sulla letteratura e narrativa italiana e senza dubbio la scoperta più significativa è quella di Federigo Tozzi, che è stato protagonista del bimestre gennaio/febbraio con Con gli occhi chiusi (Link) e di maggio/giugno con Tre croci e un’antologia composta da miscellanea (Link).
In primavera, a marzo/aprile, ci siamo dedicati ai racconti di Matilde Serao con Fior di passione (Link).
In piena estate, tempo di letture brevi e in viaggio, ho scelto Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni, un testo teatrale buffo ed istruttivo al tempo stesso (Link).
Infine a settembre/ottobre ho puntato sulla poesia, o meglio sulla biografia di una grande poetessa, con Alda Merini: l’eroina del caos (Link).
Questo mix di poesia, prosa, racconti e teatro mi ha fatto pensare che mancava solo un po’ di saggistica. Così ho puntato su uno dei classici che avevo sul Kindle da tempo innumerevole e che aspettava solo un’occasione adatta: Il colore del tempo di Federico De Roberto.
Non particolarmente lungo, coerente con l’epoca di altri autori che abbiamo visto quest’anno, diviso in capitoli che trattano alcune importanti tematiche di quei tempi. Facile, no?
… No, affatto. Per quanto sia stata una lettura di media lunghezza (mi aspettavo un “mattone” maggiore ed avevo pensato anche di alternarlo ad altre letture per spezzare un po’, ma alla fine non è stato necessario) e la scrittura si sia rivelata più piana e scorrevole di altre opere letterarie tra il XIX ed il XX secolo, non si tratta per niente di una lettura facile. Cercherò di raccontarvi quel che ho compreso e che mi ha trasmesso, per quanto complesso e frutto del pensiero di un uomo d’altri tempi.
Devo ammettere che “dialogare” metaforicamente con un letterato così lontano nel tempo e nello spazio mi ha sorpreso: nonostante tutto, egli si è rivelato ben distante dai manierismi di alcuni intellettuali di oggi, che sembrano puntare ad arroccarsi sulla famosa torre d’avorio ed a non farsi comprendere da quanti considerano “troppo popolari” per i loro gusti. Tutto sommato preferisco non essere d’accordo con una persona che si esprime chiaramente – e che quindi mi stimola a pensare da dove nasce il mio disaccordo, e che cosa gli risponderei – piuttosto che leggere i pensieri di chi condivide la mia visione su tanti temi ma la tratta in modo da farla sembrare un sapere esclusivo.
Detto così può sembrare tutto un po’ fumoso, quindi cercherò anche io di essere franca e diretta come l’autore e di farvi capire che cosa si racconta in questo saggio.
L’ispirazione tratta dai quotidiani
Com’è, dunque, per Federico De Roberto, il “colore del tempo”? La risposta arriverà nell’ultima pagina, ma già il capitolo introduttivo, Il secolo agonizzante, potrebbe far intuire qualcosina: il colore del tempo che egli si ritrova a vivere è, a suo dire, decisamente fosco.
Questo è un saggio scritto e pubblicato proprio nel 1900 e sul “tavolo degli imputati” c’è l’Ottocento, responsabile di aver consegnato una pessima eredità al Novecento, che, appunto, inizia già “in agonia”.
Con una premessa simile, si potrebbe pensare che questo sia un saggio pessimista, ma ad essere sincera io non ho avuto esattamente questa impressione.
Il primo capitolo è programmatico, e spiega da dov’è nata l’idea scelta per organizzare e suddividere questo libro. Federico De Roberto afferma infatti di provare dei sentimenti contrastanti per l’invenzione del quotidiano, che dura solo un giorno e porta via con sé la notizia più importante di quelle 24 ore. Da un lato, se l’umanità ha scritto una pagina di storia brutta e da dimenticare, il giorno dopo si potrà voltare, letteralmente. Dall’altro, soprattutto per quanto riguarda le pagine di analisi letteraria, storica e politica, tanti approfondimenti rischiano di perdersi per sempre.
Per questo motivo egli si dichiara grande fan – forse in minoranza, come dice lui, ma non credo – di quei volumi di miscellanea che raccolgono svariati articoli di giornale, ognuno dei quali contiene un articolo su un argomento differente. Libri del genere, a suo dire, danno davvero l’idea de il colore del tempo, sia più limpido che più fosco. E così è il saggio che ci troviamo davanti: un insieme di lunghi articoli di giornale dal taglio prevalentemente letterario, storico e politico (o un mix dei tre ambiti).
Ogni capitolo ha per protagonista un autore, un’opera, un filosofo/pensatore, un movimento politico. Tutte entità e persone di cui secondo me Federico De Roberto ha una gran stima, anche se non con tutte è perfettamente allineato: a volte, infatti, si ritrova a fare una critica ragionata di ciò che comunque apprezza, altre volte invece confuta le tesi altrui senza girarci troppo intorno.
E così, per tornare a quello che dicevamo all’inizio, io non ho avvertito un pessimismo del tutto disfattista e rassegnato: anche quando si trova in palese disaccordo, l’autore cerca sempre di salvare il salvabile. Per lui, il semplice fatto che qualcuno abbia dato il suo contributo all’umanità con una sua opera è già qualcosa che rende il colore del tempo meno oscuro.
Devo dire che è un volume che spinge a ragionare tantissimo. L’autore critica l’opera di altri pensatori, creando lui stesso un pensiero, spingendo il lettore (me) a dirsi in accordo o no sia con lui che con chi sta criticando. È tipo l’Inception della filosofia. Ma proviamo un attimo ad addentrarci…
Due opposti, un compromesso?
I primi quattro capitoli del saggio si concentrano sull’analisi di due opposti.
La prima delle due coppie è composta da due autori dalle idee completamente diversa l’una dall’altra: Tolstoj e Nietzsche. Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il primo dei due esalta la semplicità della vita in campagna e un’utopia di stampo comunista (se vi può interessare la mia recensione di Anna Karenina, la trovate a questo link) e l’altro incentra tutto sul concetto di “superuomo” ed è diventato uno dei pensatori a cui più hanno attinto i gruppi politici conservatori.
Non sono stata molto sorpresa nel constatare che De Roberto non si schiera né con l’uno né con l’altro, ma ha da criticare su entrambi. La sua analisi è precisa e puntuale, con tanto di citazioni ed esempi, ma io ho avuto l’impressione che per l’autore il problema di entrambe le teorie fosse uno solo: tanta “bellezza” in teoria, poca possibilità di attuazione nella pratica. L’uomo, quello vero, difficilmente si accontenta di vivere con quel poco che altri hanno deciso di fornirgli, perché la vita stessa lo spinge a volere sempre qualcosa di più, ed anche i rapporti con la sua comunità, di conseguenza, non possono essere sempre idilliaci. Ma non è realistico pensare nemmeno che in ogni uomo alberghi un supereroe, e che tutti siano in grado di elevarsi “sugli altri” (gli altri chi, poi? Gli altri siamo noi). De Roberto fa notare come, di fronte ad esempi specifici, o alla prova dei fatti, queste teorie cadano in contraddizione, rimanendo così solo delle utopie, che sono salvabili e da tenere in considerazione solo come linee guida, come idee a cui ispirarsi.
L’altra delle due coppie è composta dalla dicotomia filosofia/poesia. De Roberto prende in considerazione due nomi meno noti del XIX secolo, prima Sully Proudhomme (“la poesia del filosofo”) e poi Maurizio Maeterlink (“la filosofia del poeta”). Che ne pensa l’autore, in una riga? Si potrebbe riassumere così: se ognuno continua a fare il suo mestiere forse è meglio, ma uscire dal seminato a volte è frutto di idee impreviste ed interessanti. Esattamente come le teorie di Tolstoj e di Nietzsche, anche le tesi di questi due autori si rivelano piuttosto contraddittorie, ma hanno l’innegabile pregio di unire il pensiero (filosofico) all’arte (poetica), pregio che comunque secondo me l’autore riconosce. Un po’ a fatica, eh, perché avrete capito che è un soggetto difficile, e mi meraviglio che non lo abbiano tacciato di essere un “pessimista cronico” com’è accaduto al povero Leopardi. Io, come vedete, sto provando a difenderlo…
Questioni storiche e politiche
La parte centrale del saggio è dedicata ad alcune questioni di ordine storico e politico, tre in particolare.
C’è
un capitolo sul femminismo che, vi avviso, vi farà venire voglia di
lanciare il Kindle contro il muro, fare un falò con i
romanzi dell’autore sulla pubblica piazza e invocare gli spiriti
delle donne bruciate perché “streghe”
riconsiderare la vostra stima dell’autore e pensare che tutto
sommato questo paese non ce la farà mai in materia di parità di
genere. Questo capitolo è piuttosto indifendibile e mi verrebbe da
dire che non sembra neanche scritto dall’autore, però poi mi
ricordo che oggettivamente stiamo parlando di un uomo di un secolo e
mezzo fa e, insomma, certe bestialità purtroppo erano comuni ai
tempi, anche tra gli intellettuali più emancipati. Se non altro, è
stato profetico nel prendersela più con gli “uomini che difendono
i diritti altrui” che con le “donne che vorrebbero migliorare la
propria posizione” (e senza volerlo ci ha azzeccato: da quando,
negli ultimi anni, il femminismo è diventato performativo, alcuni
uomini ci tengono a ribadire che sono più bravi ed attivi di noi
persino in questo).
Poi si parla della Cina e dell’influenza innegabile che già al tempo aveva sull’Occidente. L’epoca di De Roberto consente di vedere già le ombre lunghe di quello che arriverà: un impero di grande importanza commerciale, la capacità del popolo cinese di diventare competitivo per le industrie occidentali, una potenza temibile anche dal punto di vista politico. Quanto ad una vera e propria unione tra culture, egli si mostra scettico, e devo dire che anche secondo me la nostra società contemporanea ha visto una contaminazione tra Oriente e Occidente, ma non una fusione: certe differenze restano troppo grandi ed è giusto che ognuna delle due parti preservi la sua unicità.
Infine si tratta di eventi storici che hanno riguardato sia la Spagna che gli Stati Uniti, racconti di guerre, scontri civili ed internazionali, questioni che hanno un unico comune denominatore: la sete di potere. Questo capitolo è più informativo che argomentativo, ma penso che non ci voglia molto per comprendere che uno dei motivi principali per cui, secondo Federico De Roberto, il XIX secolo è stato “fosco” è il continuo spargimento di sangue per gli interessi dei potenti. Credo che se egli potesse vedere questo XXI secolo, anche solo questi 24 anni, sprofonderebbe in una totale disperazione…
L’uomo e l’artista
Gli ultimi quattro capitoli, forse più scorrevoli dei precedenti – esattamente come accade in un volume di miscellanea di quotidiani, con articoli più corposi che vengono subito posti all’attenzione del lettore ed altri più agevoli che trovano posto in coda -, trattano tematiche più umanistiche, nel senso etimologico del termine.
Chi è l’uomo del XIX secolo? Quale sarà quello del XX? Quali sono le caratteristiche irrinunciabili come essere umano e come artista o professionista?
Il genio e l’ingegno tratta una questione molto discussa, forse ancora ai giorni nostri: quanto è talento naturale e quanto invece è impegno e dedizione? Come in tanti casi, la virtù sta nel mezzo…
Critica e creazione parte dall’esempio di Max Nordau, critico letterario e romanziere: è possibile conciliare le due carriere senza cadere in una sorta di conflitto di interessi? La risposta dell’autore sembra essere: più sì che no, ma chi è portato per la critica solitamente non ha il talento folgorante per il racconto di chi è romanziere e basta, si limita ad opere godibili…
La timidezza espone il problema della paura che blocca l’uomo, dai momenti di inevitabile fragilità al problema del mal di vivere (con riferimenti a Baudelaire).
La volontà è infine ritenuta la scintilla più importante che anima l’uomo, sia quello del recente passato che quello del futuro. Una luce che, come già detto, rende meno oscuro “Il colore del tempo”.
Come vedete, non è stato semplice approcciarsi a questo testo. Io ho cercato di esporvi quello che ho compreso e che ho pensato nel modo più semplice e chiaro che ho potuto. A mio parere tante questioni trattate sono ancora attuali. Volendo essere un po’ pessimisti, potremmo dire che l’uomo non impara mai da certi errori; guardando però il bicchiere mezzo pieno – e sapete che su questo blog la linea generale è questa – possiamo dire che il passato non è poi così lontano da noi ed abbiamo tanti maestri a cui chiedere consiglio, e credo che De Roberto sia decisamente uno di questi.
Siamo giunti al termine del nostro mini-percorso di sei classici da leggere nel 2024 e mi sento molto soddisfatta. Non so perché, ma mi sentivo un po’ pessimista al riguardo: pensavo che sarei riuscita ad essere costante per i primi due bimestri e che poi gli impegni lavorativi e non mi avrebbero travolto, riportandomi sulla mia classica TBR. Ma ciò che all’inizio mi sembrava un impegno un po’ oneroso, un buon proposito, si è trasformato ben presto in una boccata d’aria, in una possibilità preziosa di “tornare alle origini”, visto che dopo la Magistrale ho avuto tante vite lavorative diverse – principalmente nel mondo della scuola, come penso sappiate – e non tutte con mansioni proprio coerenti con ciò che più ho amato studiare.
Quindi non so ancora se per il 2025 proseguirò con questa buona abitudine, ma vi anticipo che sono molto tentata, soprattutto se non mi verrà in mente un progetto letterario più specifico da riportare sul blog. Comunque vi terrò aggiornati…
Mi piacerebbe avere una vostra opinione su quello che ho scritto oggi, o sul mini percorso di classici in generale. Anche spunti per prossime letture sono molto graditi.
Fatemi sapere! Grazie per la lettura, al prossimo post :-)