giovedì 6 giugno 2024

PERSONAGGI DA RICORDARE

 Novecento in poesia #10




Cari lettori, 

siamo al penultimo appuntamento con il nostro "Novecento in poesia"! 

Oggi vi propongo una carrellata di personaggi, tutti diversi tra loro, in qualche modo indimenticabili. Vi avverto: alcuni di questi componimenti sono davvero sorprendenti! 

Leggiamoli insieme... 



Delizia (e saggezza) del bevitore, di Giorgio Caproni


a Luigi Volpicelli


Bicchiere dopo bicchiere.

D’un bel rosso.

Acceso.

In fiamma con la trasparenza

dell’albero.


È solo

(è sera) al tavolo

d’uscio dell’osteria.


Guarda la via andar via

verso il bosco e verso il buio.


Sa l’ombra.

Ma è in allegria.


Carezza la bottiglia

con mano amorosa.


(Beve vino, o una rosa?)



Da “Poesia della fonte”, di Maurizio Cucchi


Il console generale a Bogotà

aveva annotato, grazioso,

che nei sobborghi di Milano

c’erano certi casoni…

E cento stanze cento famiglie, e i bimbi

erano rossi e allegri,

moltissimi, e bellissimi.


Ma a giudicare dalla famosa foto,

di settant’anni dopo,

e che tu chiami dei bambini esposti,

il nobile di Zenevredo,

l’eccellente scrittore si sbagliava.



Ancora, a Marilyn, di Gianni d’Elia


Ma quanti ha gli anni della tua morte

di nervi divi e di amaro brandy,

ugualmente reciti lo si compendi

nell’età che alle dorate porte


del nulla in serie, e più ai cancelli,

tutte ha bruciato le bionde scorte

di quegli ingenui, nudi, ribelli

giorni, se i veri ciechi fratelli


nostri siam noi, e dalle anime corte

di tutti gli schermi, invescati uccelli

presi in panio arso di forme

alla celluloide dei tuoi capelli? …



da “Istmi e chiuse”, di Eugenio De Signoribus


(racconto)


l’uomo era l’albero del suo battello

venuto incontro alla secca e ora arenato

chiuso se ne stava nel suo mantello

senza gesti o alti richiami

- vorrei farmi amare da voi -

dichiarò appena udibile rivolto verso terra


per mezzo cerchio girai lo sguardo

da lui a quella parte:

lì non c’era nessuno

né dune né rocce che potessero

nascondere qualcuno


- è una svista… o forse una visione… -

gli annunciai da fuori della pagina


il battello era intanto finito di fianco

così che egli ora mi stava di fronte

ma mi era oscura la sua immaginazione

perché potessi sapere se mi vedeva… -

comunque parlò


la tua voce è plurale

ti anima un piccolo popolo di turbati e innocenti

che da soli arrivano alla tua casa

o da te cercati con te l’attraversano…

perché io che più in là non posso andare

ugualmente vorrei farmi amare da voi

per esserne parte… -


questa è la fedele pagina

della sua inaspettata presentazione



Lotte primarie, di Giancarlo Majorino


Giuseppe è intelligente, interessato

e interessante quando,

tra due schiere di gente, ha combinato

un affare.

Abbraccia pure me, che ho guadagnato niente

e sto come uno scoglio

nel mare la sua bianca mano che carezza

e spolvera la spalla vola gabbiano.

Ma, via Pasquirolo, budello

di parafanghi, parliamo

nel cielo entrambi d’arte,

senza retorica, artigiani

consapevoli e capaci, soddisfatte

stiratrici, carabinieri

di guardia in Prefettura.

Mercanti litigano in piazza Fontana;

dopo, mano sulla mano, è fatta:

ritirano la rabbia coi soldi,

avanzando sorrisi, chiacchierando

liberati, leggeri come piccioni.

A casa le mogli scendono la pasta,

tra poco arrivano

i mariti i soldi;

dalle finestre fumano canzoni

salendo al cielo della Lombardia

coi fischi, colle scritte, coi cartelli

dei disoccupati in via Vivaio;

vispi commentiamo: sembra Brecht.



Il ventaglio, di Eugenio Montale


Ut pictura… Le labbra che confondono,

gli sguardi, i segni, i giorni ormai caduti

provo a figgerli là come in un tondo

di cannocchiale arrovesciato, muti

e immoti, ma più vivi. Era una giostra

d’uomini e ordegni in fuga tra quel fumo

ch’Euro batteva, e già l’alba l’inostra

con un sussulto e rompe quelle brume.

Luce la madreperla, la calanca

vertiginosa inghiotte ancora vittime,

ma le tue piume sulle guance sbiancano

e il giorno è forse salvo. O colpi fitti,

quando ti schiudi, o crudi lampi, o scrosci

sull’orde! (Muore chi ti riconosce?)



Da “Diario postumo”, di Eugenio Montale


Agile messaggero eccoti

tendo esitante la lettera per

Adelheit.


L’insensato cantore si ritira

rimbalza a te la palla

che decide la sorte.


Si trattò forse d’una allucinazione?

O fu l’ammaliatrice

solo un’apparizione


a cui non seppi opporre

altro diniego che la fuga.

Corri da lei, Agrodolce


e torna dall’esausto genearca

con un ricordo lieto. Un gesto che


regali l’eliso: questo mi basta,

così impervio è il cammino tracciato

dagli addii a noi mortali.



Da “L’aspetto occidentale del vestito”, di Giampiero Neri


Ritorna come un assente

dopo molte prove

in un improvvisato teatro,

ma il suo lavoro è dimenticato

e dietro le quinte in un angolo

guarda un diverso svolgimento.

Dal principio alla fine

è conveniente seguire ogni giustizia.



Sinopie, di Giorgio Orelli


[mentre in disparte l’umiltà dei vinti…

Da un frammento di C.Rebora]


Ce n’è uno, si chiama, credo, Marzio,

ogni due o tre anni mi ferma che passo

adagio, in bicicletta, dal marciapiede mi chiede

se Dante era sposato e come si chiamava sua moglie.

«Gemma», dico, «Gemma Donati». «Ah sì, sì, Gemma»,

fa lui, con il suo sorriso, «grazie, mi scusi».


Un altro,

più vecchio, che incontro più spesso, son sempre io a salutarlo

per primo, e penso: forse si ricorda

d’avermi aiutato, una notte di pioggia e di vento ch’ero uscito

per medicine, a rimettermi in sesto con i suoi ferri (a quell’ora!)

una ruota straziata dall’ombrello.

Un terzo, quasi centenario, sordo, per solito

se appena mi vede grida «Uheilà, giovanotto» e dal gesto si capisce

che mi darebbe, se potesse, una pacca paterna sulla spalla,

ma talora si limita a sorridermi, o, ad un tratto, eccitato

esclama: «Ha visto! La camelia è sempre la prima a fiorire!»,

o altro, secondo la stagione.


D’altri

pure vorrei parlare, che sono già tutti sinopie

(senza le belle beffe dei peschi dei meli)

traversate da crepe secolari.



I goliardi delle serali, di Elio Pagliarani


I goliardi delle serali in questa nebbia

hanno voglia di scherzare: non è ancora mezzanotte

e sono appena usciti da scuola

«Le cose nuove e belle

che ho appreso quest’anno» è l’ultimo tema da fare,

ma loro non si danno pensiero, vogliono sempre scherzare.

Perché il vigile non interviene, che cosa ci sta a fare?

È vero però che le voci sono fioche e diverse, querule anche nel riso,

o gravi, o incerte, in formazione e in trasformazione,

disparate, discordi, in stridente contrasto accomunate

senza ragione senza necessità senza giustificazione,

ma come per il buio e il neon è la nebbia che abbraccia affratella assorbe inghiotte

e fa il minestrone

e loro ci sguazzano dentro, sguaiati e contenti

- io attesto il miglior portamento dei due allievi sergenti,

il calvo in ispecie, che se capisce poco ha una forza di volontà

militare, e forse ha già preso il filobus.

Quanta pienezza di vita e ricchezza di esperienze!

di giorno il lavoro, la scuola di sera, di notte schiamazzi

(chi sa due lingue vive due vite)

di giorno il lavoro la scuola di sera – non tutti la notte però fanno i compiti

e non imparano le poesie a memoria, di notte preferiscono fare schiamazzi

nascondere il righello a una compagna

e non fanno i compiti

- ma non c’è nessuno che bigi la scuola

sono avari

tutti avari di già, e sanno che costa denari denari.



Il mago, di Giovanni Pascoli


«Rose al verziere, rondini al verone!»


Dice, e l’aria alle sue dolci parole

sibila d’ali, e l’irta siepe fiora.

Altro il savio potrebbe; altro non vuole;

pago se il ciel gli canta e il suol gli odora;

suoi nunzi manda alla nativa aurora,

a biondi capi intreccia sue corone.



Il gioco e la candela, di Silvio Ramat


Qui chiamereste in causa – per averne

saggi d’esperienza spinte esemplari -

un tragico, un uomo di cicatrici.

Gli direste: va’ in scena come sai,

tu che i venti e il diluvio hanno scavato,

tu lapide umana consunta tu onore

del dolore, seme della nostra ansia,

disperazione sola figura di speranza:

di’ quel che puoi, farà sempre sentenza;

albero incupito nelle midolla

ma qualcosa di te non va perduto,

qualche tuo ramo ancora lo sentiamo

battere il tempo battere l’invernata

con fioriture sobrie…


* * *


- Chiamavate? Ecco l’uomo.

Preoccupato, noioso, un po’ d’invidia

nelle vene. Se ancora si portasse

il cappello, dalle falde vedreste

l’angoscia; se possedesse una sola

cravatta, capireste che la sera

lui non ne disfà il nodo. Non ha pace:

a chi porterà pace? A chi sarebbe

d’esempio, lui che non ha esempi? Il gioco

non vale la vostra candela e neppure

la sua, una cera liquefatta prima

che la raggiunga la fiamma: che tocchi

(basta guardarlo) a voi fargli da mamma.



Sotto i colpi, di Nelo Risi


C’è gente che ci passa la vita

che smania di ferire:

dov’è il tallone gridano dov’è il tallone,

quasi con metodo

sordi applicati caparbi.


Sapessero

che disarmato è il cuore

dove più la corazza è alta

tutta borchie e lastre, e come sotto

è tenero l’istrice.



Da “La resistenza dell’aria”, di Gregorio Scalise


Un uomo che con tutte le dita

conta un alfabeto solare:

la sua origine è antica, slitta la stanza

con l’odore del rosmarino

e come la catena di montaggio

ha la forza di un desiderio:

ma basta ricordare che fu un atomo di gioia

a deridere il colpo di dadi:

un fiore deserto conosce le nuvole

non ha inventato niente in quella nostalgia,

solo la reticenza o la conseguenza del silenzio:


la gente fugge con passo deciso

lungo argomenti sconnessi,

lo sguardo si ostina a distinguere

l’odore di una strada felice,

un fiume ha trasportato gli oggetti

e non sa quali prove cerchino gli uomini

della loro esistenza: con gesti senza chiarezza

scorrono sul fianco di quell’azzurro:

fuori campo si presenta

una signora col cappellino,

è una stagione fra pepite medievali

che celebra quella trilogia ardente.



Diana, di Vittorio Sereni


Torna il tuo cielo d’un tempo

sulle altane lombarde,

in nuvole d’afa s’addensa

e nei tuoi occhi esula ogni azzurro,

si raccoglie e riposa.


Anche l’ora verrà della frescura

col vento che si leva sulle darsene

dei Navigli e il cielo

che per le rive s’allontana.

Torni anche tu, Diana,

tra i tavoli schierati all’aperto

e la gente intenta alle bevande

sotto la luna distante?

Ronza un’orchestra in sordina;

all’aria che qui ne sobbalza

ravviso il tuo ondulato passare,

s’addolce nella sera il fiero nome

se qualcuno lo mormora

sulla tua traccia.


Presto vien giugno

e l’arido fiore del sonno

cresciuto ai più tristi sobborghi


e il canto che avevi, amica, sulla sera

torna a dolere qui dentro,

alita sulla memoria

a rimproverarti la morte.



I pescatori, di Diego Valeri


Rovesciavi il bel viso in fanciullesco modo,

per ascoltare quel trillo alto perduto di allodola;


guardavi stupita gli spazi, la bianca mattina

fumante nel sole, confusa alla bianca marina.


Poi vennero i pescatori: con lunghi strappi oscillanti,

con rotte grida, tiravano in secco le reti stillanti.


Nel bruno groviglio dei fili scorgesti un guizzare d’argenti

di azzurri di verdi. Ridevi tutta, occhi labbra denti.




Questa volta nemmeno io saprei scegliere tra i vari componimenti! Forse "Sinopie" e "Sotto i colpi" sono quelli che mi sono rimasti impressi, ma tutte le poesie che ho scelto oggi per voi mi piacciono molto.

So che mi ripeto, ma vi ringrazio per il supporto. So che i post letterari possono essere impegnativi... quindi grazie a tutti voi che continuate a leggerli. Il mese prossimo tireremo le fila insieme. 

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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