giovedì 25 luglio 2024

CONSIGLI DI NARRATIVA

 Due romanzi di Tommaso Avati e Han Kang




Cari lettori,

bentrovati con le nostre “Letture...a tema”!


Il post odierno, in linea teorica, avrebbe dovuto essere destinato allo “Spazio Scrittura Creativa”, ma ho pensato di riprendere con settembre. 

Ho un po’ la testa in vacanza – con questo luglio scoppiato all’improvviso dopo tanto maltempo, chi non la ha? - e soprattutto mi sono accorta di avere parecchie letture arretrate da recensire. 

In primavera, tra lavoro, saggio e quant’altro, spesso la sera ero parecchio stanca, e tante volte ho schivato film o serie tv che sarebbero finiti troppo tardi per leggere un’ora ed andare a letto. Leggi oggi, leggi domani, mi sa che ho già una bella lista di titoli per le recensioni autunnali… ed ancora mancano le letture della pausa di agosto! Vi accorgerete anche che ho puntato su un po’ di titoli leggeri, spero che non vi dispiaccia…


Nel frattempo, per oggi, ho pensato di proporvi due letture che invece vanno un po’ sedimentate e che non sarebbe stato il caso di rimandare a dopo le ferie. Sono due romanzi di narrativa generale, due storie molto diverse tra loro, eppure ugualmente oniriche ed introspettive. Il primo è di un autore italiano, figlio di un famosissimo regista; il secondo è di un’autrice coreana che di sicuro tanti cultori della narrativa orientale conosceranno.



La ballata delle anime inutili, di Tommaso Avati


Puglia, 1938. Il Gargano è una zona popolare tappezzata di masserie, dove famiglie allargate lavorano tutto il giorno per misere entrate.


La tredicenne Sofia è l’ultima arrivata di una di queste famiglie: figlia di un padre troppo autoritario e di una madre silenziosa, unica figlia femmina dopo tre maschi, di cui soltanto uno è davvero amato dal severo genitore.


Tutti, iniziando dal padre, non fanno che dire a Sofia che ella è una ragazza sbagliata, diversa, nata sotto una luna storta, e che per questo motivo nessuno la vorrà e resterà sola per sempre. Sofia, però, è stata traumatizzata dal breve e veloce passaggio nella loro famiglia da parte di Caterina, una ragazza che per poco tempo è stata la moglie di suo fratello Angelino. Ella è arrivata piangendo perché non voleva lasciare la famiglia, ha fatto finta di amare un ragazzo che non conosceva affatto, non è riuscita ad avere figli in tempi brevi e si è buttata dalle scale per la vergogna.


Sofia ha paura che il suo destino da sposata sia troppo simile a quello di Caterina, anche perché tutte le famiglie, e la sua in particolare, sembrano dare un’importanza esagerata a quella che nella casa è considerata la stanza del Santo, quella che occupa a turno la coppia appena sposata della famiglia: un luogo che dovrebbe favorire l'arrivo di figli.


Sofia sente di essere ancora troppo curiosa del mondo che la circonda per chiudersi come sua madre in una routine fatta di lavoro massacrante e gravidanze che forniranno nuove braccia per l’agricoltura.


Ella ha un amico con cui si trova bene: si chiama Pasquale e proviene da San Nicandro, un piccolo paese dove accadono strani fatti. Pasquale non può mangiare il maiale; gli uomini della sua comunità portano uno strano cappellino e si dice anche che siano circoncisi. Una cellula ebraica, sfuggita in qualche modo alla promulgazione delle leggi razziali, particolarmente stringenti al Nord ma forse non così applicate in queste campagne, è riuscita a ricostruire una comunità intorno a sé, riuscendo a convertire anche un buon numero di cristiani.


Ovviamente il padre di Sofia vede la sua amicizia con Pasquale come il fumo negli occhi, ed anche questa piccola libertà sembra sfuggire dalle mani della ragazza… ma presto l’inizio della Seconda Guerra Mondiale ribalterà tutti gli equilibri.



La ballata delle anime inutili è uno di quei titoli che ho trovato quasi per caso tra le novità di narrativa della biblioteca del mio paese. L’autore è il figlio del regista Pupi Avati e forse condivide con lui il desiderio di raccontare degli ultimi, di chi è considerato il più mediocre anche in un contesto semplice.


Sofia, la protagonista di questa storia, è una ragazza di intelligenza e talento, dotata di grandi qualità, che però, in un contesto contadino di povertà ed ignoranza assoluta, vengono scambiate per stramberie inutili per chiunque, ed in particolare per una donna. Ella finisce così per convincersi di non valere nulla per davvero, ma i fatti finiranno per smentire questa sua convinzione. 

È la storia più vecchia del mondo, e chi pensa che le ultime donne ad averne sofferto siano state quelle della generazione del secondo dopoguerra e che dal boom economico in avanti sia stata tutta emancipazione commette una grande leggerezza. Alcune frasi che i personaggi ripetono nel libro sono purtroppo di una sconcertante attualità, e dure a morire in un Paese come il nostro.


Quello della masseria è un micro mondo, come tutte le realtà periferiche, ma c’è qualcuno che ha il coraggio di staccarsi: si tratta di San Nicandro e dei suoi accoliti. La vicenda è ispirata ad una storia vera: ci sono effettivamente delle testimonianze del fatto che, appena promulgate le leggi razziali, un’intera comunità pugliese si convertì all’ebraismo. 

Credo però che l’autore abbia scritto di Pasquale e dei suoi anche per mettere in luce il fatto che Sofia abbia trovato un’anima affine: qualcuno che, come lei, si interessa di questioni filosofiche, religiose, culturali, e che non si limita ad andare avanti a testa bassa con le mansioni contadine di ogni giorno.


L’ultima parte del romanzo è raccontata da figli e nipoti, narra l’immediato Dopoguerra e ci presenta i personaggi da un inedito punto di vista. Non possiamo dire che ci sia un vero e proprio happy ending, però la scelta è stata quella di raccontare la storia di una persona che ha fatto il possibile per vivere come ha voluto anche in tempi difficili, nonostante quel marchio di “anima inutile” che prima le stava stretto e poi è diventato, in qualche modo, motivo di orgoglio.



L’ora di greco, di Han Kang



A Seoul è scoppiata l’estate e la città si è in parte svuotata. Prima della pausa estiva, il centro di studi linguistici tiene le sue ultime lezioni serali del corso di greco antico.


Tra i pochi avventori, tutti spinti da motivazioni originali ma fino ad un certo punto (il giovane medico che si è un po’ “pentito” degli studi scientifici e vorrebbe rimediare con un corso umanistico, lo studente che vuole allargare i suoi orizzonti, l’anziano signore che finalmente ha più tempo per la cultura… ) c’è una donna davvero misteriosa. Quello che tutti vedono di lei sono gli abiti scuri, l’aria dimessa, l’atteggiamento schivo. Quando però il professore decide di spezzare la routine dell’insegnamento frontale e la convoca alla cattedra, egli si rende conto che la donna non riesce a parlare, e non per una patologia congenita.


La protagonista, di cui l’autrice non fa il nome, è affetta da mutismo selettivo: ha perso la capacità di parlare in seguito a due traumi importanti, prima il divorzio e poi il processo che le ha fatto perdere la custodia del figlio, che, tra l’altro, presto partirà con il padre per un viaggio importante. Il suo problema l’ha costretta a sospendere anche il suo lavoro come insegnante: uno smacco per lei dopo tanti anni dedicati alla cultura.


L’ora di greco è un suo tentativo sperimentale di combattere il mutismo – che, come scopriremo, è già stato suo nemico in passato - : innanzitutto, ella spera che il desiderio di parlare in una nuova lingua sarà più forte di quello di seppellire per sempre la propria; e poi è la natura del greco antico ad affascinarla.


Il greco antico è al tempo stesso una lingua che può esprimere più concetti in una sola parola (un unico vocabolo, per esempio, può esprimere bellezza, bontà e nobiltà) ed anche un idioma così complesso da rendere poco importante – almeno non importante quanto lo è in latino, aggiunge la mia anima da classicista – la posizione di una parola all’interno di una frase. Prendiamo per esempio il caso dei verbi: modo, tempo, persona e diatesi, una volta identificati, rendono possibile l’associazione con un solo soggetto.


Oltre ad una questione grammaticale e di lessico, il greco presenta una sfida anche dal punto di vista della letteratura: il professore ha scelto di dedicare il suo corso alla lettura di Platone, filosofo che esorta ad uscire dalla caverna (e quindi a non chiudersi nel suo bozzolo dopo un trauma?) per andare incontro al mondo reale in tutte le sue sfaccettature.


Quello che la protagonista ignora è che il professore, che è rimasto colpito da lei, sta a sua volta vivendo una sua tragedia personale. Dopo anni travagliati tra Corea e Germania, egli sembra aver trovato la sua pace in Oriente, ma purtroppo sta perdendo la vista in modo irreversibile.


Sullo sfondo di una Seoul torrida e sempre più abbandonata dalle peregrinazioni estive, mentre tutti pensano a divertirsi o a lavorare per poi andare in ferie, la donna ed il professore studiano il greco insieme ed imparano a conoscersi sempre più. Scrivendo una nuova storia.



Sono stata molto indecisa sull’inserire L’ora di greco in questo post o nei preferiti del mese. Poi ho pensato che questo romanzo fosse l’unico, tra le mie ultime letture, ad abbinarsi in qualche modo al precedente che vi ho recensito. Anche stavolta siamo di fronte ad una storia intimista, raccontata con un ritmo piuttosto lento, sull’onda dei ricordi, delle descrizioni, delle sensazioni.


Questo libro è una chicca incredibile per tutti i cultori della classicità e della lingua e letteratura greca: personalmente avrei fotografato metà libro, ma mi sono accontentata delle riflessioni più significative. A partire dalle osservazioni su grammatica e lessico scaturiscono dei discorsi incredibili su spiritualità, storia, religione.


Certo le riflessioni sono molte di più dei colpi di scena della narrazione: la storia è piuttosto esile e molto descrittiva, ed anche se il romanzo è breve ha bisogno del suo tempo per essere letto. È una storia “da meditazione”, forse anche più di quella di Avati.

È comunque una perla incredibile e vi consiglio di cuore di non lasciarvi sfuggire questo titolo.


Resta il fatto che per me la narrativa asiatica è una grossa lacuna, e leggendo questo libro ho forse solo iniziato ad intuire le differenze con il modo di narrare italiano/europeo al quale probabilmente sono fin troppo abituata. Seguo su TikTok/Instagram alcune bloggers che invece sono parecchio esperte e penso proprio che seguirò i loro consigli in merito, magari partendo da altri titoli di Han Kang…





Queste sono le letture che vi consiglio oggi!

Due tascabili solo in apparenza… in realtà due storie belle toste. Magari portarvele in un bosco in mezzo ai monti o in riva al mare vi aiuterà a leggerle piano piano, un pezzo alla volta…

Nel frattempo fatemi sapere se avete già letto questi libri e che cosa ne pensate!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


2 commenti :

  1. ciao Silvia! due pubblicazioni lontane l'una dall'altra ma ugualmente entrambe interessanti; la mia preferenza cade sul romanzo di Avati (il padre lo apprezzo davvero molto, come regista e come scrittore), mi incuriosisce non solo per la realtà contadina e la protagonista, ma anche per l'ambientazione, così vicina a dove vivo.
    Grazie per i consigli :))

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    1. Ciao Angela! Fammi sapere allora che cosa ne pensi del romanzo di Avati, se riesci a leggerlo :-)

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