Gli eroi di Sofocle #5
Cari lettori,
primo appuntamento dell’anno nuovo con “L’angolo della poesia” ed il nostro progetto letterario dedicato agli eroi di Sofocle!
Dopo aver letto insieme Aiace, Le Trachinie, Filottete ed Antigone, non ci resta che affrontare la dilogia che ha per protagonista Edipo, una delle figure tragiche più importanti della classicità.
Edipo Re è una delle opere più studiate al liceo classico, ed anche io mi ricordo di essere andata a vederlo a teatro con la mia classe. In ogni caso, spero che la mia recensione interesserà anche chi non è del settore!
Una situazione delicata
La storia, che oggi potremmo considerare un “prequel” di quella raccontata in Antigone, è ambientata a Tebe, una città che ha avuto vicende politiche molto travagliate. Dopo tanti anni trascorsi in pace sotto la guida del vecchio e saggio re Laio, il suo misterioso assassinio ha fatto precipitare Tebe nel caos.
La città è finita preda della Sfinge, una mitica e ferocissima creatura di origine orientale che sottopone ad indovinelli complessi chiunque gli si trovi davanti, aggredendolo nel caso di risposta sbagliata. Il terrore ha regnato, finché non è arrivato Edipo, che con la sua astuzia ha risolto l’enigma della Sfinge e l’ha allontanata da Tebe.
Edipo è stato largamente premiato per le sue gesta: è diventato il nuovo re di Tebe ed ha sposato la regina vedova, Giocasta, dalla quale ha avuto quattro figli (Antigone, per l’appunto, la sorella Ismene, ed i gemelli Eteocle e Polinice).
La situazione iniziale della tragedia ricorda, in qualche senso, quella dell’Iliade: Apollo ha maledetto la città con una pestilenza e niente, né i sacrifici di rito né le preghiere congiunte di tutti i giovinetti di Tebe, serve a fare cambiare animo al dio infuriato.
Il responso dei sacerdoti di fronte a questa terribile persecuzione di Apollo è univoco: purtroppo l’assassinio di Laio è ancora a Tebe, e solo la consegna dell’uccisore alla giustizia ristabilirà l’equilibrio perduto. Edipo, erroneamente convinto di aver trovato una soluzione razionale all’imprevedibile comportamento del dio, dà inizio ad una vera e propria indagine. Disgraziatamente egli non conosce ancora la terribile verità.
Un giallo da risolvere
Continuano i parallelismi con Omero, stavolta con l’Odissea. Se consideriamo la parte centrale di Edipo Re come una sorta di giallo, possiamo dire che il primo testimone ad essere sentito è Tiresia, l’indovino cieco che Odisseo incontra nell’Aldilà e che gli predice tutta la sua vita futura.
Tiresia qui è ancora in vita, risiede a Tebe e sembra rispondere malvolentieri alla chiamata di Edipo. Il suo atteggiamento è molto misterioso, ai limiti del minaccioso: a quanto pare, se il re non vuole scoprire qualcosa di terribile, è meglio che si rassegni a restare nell’ignoranza. Edipo, sentendosi in dovere di conoscere quello che è accaduto nel tentativo di salvare la città, non ascolta Tiresia e continua ad incalzarlo. La risposta dell’indovino è terribile: è Edipo stesso l’assassino di Laio.
È solo l’inizio di una sorta di spirale discendente che porterà il nostro protagonista alla scoperta di una verità orribile. Edipo, infatti, cresciuto a Corinto come figlio del re Polibo e della regina, è fuggito anni prima da quello che per lui è il suo paese di origine dopo aver ascoltato un terribile vaticinio: secondo una profezia, egli sarebbe stato condannato ad uccidere il padre ed a giacere con la madre.
Quello che Edipo non sa è che non è figlio naturale di Polibo, ma che, ancora neonato, è arrivato alla sua famiglia adottiva tramite una serie di eventi fortuiti. Egli è in realtà il figlio esposto (ancora una volta, abbandonato a causa di una terribile profezia) di Laio e di Giocasta.
È così che il vaticinio tanto temuto, che ben due famiglie hanno cercato di evitare in tutti i modi, si è inevitabilmente compiuto.
Una terribile catarsi
La conclusione della tragedia è tra le più drammatiche che si possano immaginare.
Giocasta, non sopportando la terribile realtà, si uccide da sola nelle sue stanze. Edipo, consapevole sia di aver ucciso Laio ad un incrocio tra più strade per una banale lite che di aver messo al mondo dei figli maledetti, decide di accecarsi, per non vedere più nulla di quello che ha creato e per non essere più nelle condizioni di commettere terribili sbagli.
Il governo della città viene affidato a Creonte, fratello di Giocasta e braccio destro di Edipo fino a pochi giorni prima. Proseguendo il nostro parallelismo con il giallo, potremmo dire che Creonte è stato il primo sospettato dell’assassinio di Laio; egli si è ripetutamente difeso dicendo non solo che è innocente, ma anche che la posizione subalterna è per lui ideale e che non aspira al potere assoluto. Come abbiamo visto leggendo insieme Antigone, la prima affermazione è vera, la seconda non troppo.
La dinastia a cui appartiene Edipo, quella dei Labdacidi, è maledetta: le disgrazie non si esauriranno con il nostro protagonista. Eteocle e Polinice si uccideranno in una guerra fratricida, Antigone andrà incontro ad un terribile destino per aver voluto dare una giusta sepoltura al fratello, Creonte perderà moglie e figlio in maniera violenta e sarà costretto a sua volta a cedere il bastone del comando.
Perché una simile catena di lutti? Di certo Sofocle non ha fatto questa scelta narrativa a caso. Come forse chi ha studiato i classici si ricorderà (e, per chi ha fatto filosofia, la Poetica di Aristotele è molto ricca da questo punto di vista), lo scopo finale della tragedia ai tempi era la “catarsi”, ovvero la purificazione da tutte le emozioni più violente e dai turbamenti più profondi. Lo spettatore del tempo osservava con attenzione il protagonista della tragedia compiere qualcosa che allora era considerato empio o tabù, ne osservava le nefaste conseguenze, spesso cedeva ad un pianto liberatore ed infine traeva una lezione, liberandosi di un’intenzione spesso molto simile a quella del protagonista.
Ci sono tragedie che invitano a rispettare la legge degli uomini, altre che consigliano di non oltrepassare i confini posti dagli dei, altre ancora insegnano l’importanza di un comportamento pio con la famiglia e con gli amici. La storia di Edipo, invece, spinge ad evitare con orrore il più grande dei tabù: l’incesto.
Una morale… imitata
La conclusione della tragedia è celeberrima: il coro, da sempre portatore dei valori della tradizione, invita gli spettatori a non considerare nessuno “felice e fortunato” prima del suo ultimissimo giorno di vita, perché il rovescio della sorte è sempre in agguato, ed Edipo, da re fortunato, è piombato in un abisso.
Se vi sembra di aver già sentito questa frase, ma non conoscete molto Sofocle, forse è perché l’avete sentita alla fine di American Pastoral, il film tratto dal famosissimo romanzo Pastorale americana di Philip Roth, di cui vi avevo già parlato in questo post. Mentre rileggevo la tragedia per il progetto non ho potuto fare a meno di ripensare a come l’autore statunitense abbia cercato di ricalcarla e come, per tanti versi, l’operazione non mi abbia convinto.
Come Edipo, anche il protagonista Seymour Levov è il più fortunato degli uomini, un quarantenne americano che ha avuto tutto dalla vita: popolarità al liceo, matrimonio con una bella donna, azienda di famiglia, una quotidianità benestante. Come lui, un giorno l’Inferno busserà alla sua porta sotto forma di una figlia psicologicamente instabile che compie un attentato terroristico e poi sparisce nel nulla.
Perché, però, il paragone regge poco? Perché il povero Levov, secondo me, non ha fatto proprio nulla per meritarsi questo. Edipo, per quanto un amante della tragedia greca possa sforzarsi di riabilitarlo, è un antieroe, figlio di un tempo violento: ha effettivamente ucciso un uomo per una sciocca precedenza in strada, ed è da escludere che sia stata l’unica volta che ha impugnato la spada per una sciocchezza. Affinché il paragone reggesse, ci sarebbe voluto un altro grande delitto, una macchia sulla coscienza, almeno un paio di truffe, che ne so. E invece, di quale terribile onta si è macchiato Levov? Di essere stato il capitano della squadra di football al liceo e di aver sposato la sua fidanzatina Miss New Jersey… e quindi di essere nel “mondo degli dei che non capiscono niente della vita”. Dai, siamo seri… solo gli americani possono prendere sul serio una cosa simile!
Eppure è così. Levov è proprio un brav’uomo, è l’unico che intuisce il malessere della figlia prima della tragedia e cerca di farla curare, l’unico che continua a cercarla mentre il resto della famiglia la rinnega e va avanti come se niente fosse… e tutti continuano a trattarlo male. Tra l’altro, questa cosa è proprio irrealistica. Voglio dire, stessimo parlando di una famiglia indigente, allora l’autore avrebbe potuto fare un’operazione come quella fatta in Joker e parlare della sanità privata degli USA e dell'impossibilità, per i poveri, di curare la propria salute fisica e mentale. Ma una famiglia americana benestante, per non dire ricca, appena apre il portafoglio ha accesso a cliniche private che competono con i nostri hotel extralusso. È improbabile che vengano presi per i fondelli in un unico colloquio con una psicologa che ha evidentemente trovato la laurea nelle patatine.
Comunque tanto di cappello a Philip Roth ed a chi ha diretto ed interpretato il film. L’ho visto anni fa ed ancora mi va di rifletterci, anche se in negativo. Quindi devo riconoscere che questa storia... una sua forza narrativa ce l’ha.
Eccoci arrivati alla fine!
Spero che non vi sia dispiaciuta questa mia “fuga” finale nella lettura/cinematografia americana, ma sapete com’è, io ci tengo a raccontarvi le mie più sincere impressioni ed i collegamenti che ho fatto in sede di lettura, e stavolta sono stati questi.
Il nostro percorso alla scoperta di Sofocle si concluderà a febbraio con Edipo a Colono e poi chissà… partiremo per nuovi percorsi!
Nel frattempo non abbiate timore a lasciarmi un commentino, anche piccolo piccolo… giusto per farmi sapere che cosa vi sta interessando di questo progetto!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
Ciao Silvia, i tuoi progetti letterari sono sempre ben curati e interessanti: avendo studiato allo scientifico, non ho approfondito molto la letteratura greca, ma attraverso quella latina ho potuto conoscere un po' anche queste tragedie... ripassarle attraverso i tuoi post è stato molto bello :-)
RispondiEliminaCiao! Bene, sono contenta che il progetto ti stia piacendo :-)
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