Le donne di Euripide #4
Cari
lettori,
come state? Io bene! Lo spettacolo di cui vi parlavo nello scorso post è andato davvero alla grande, ed io ne sono stata veramente felice.
Ve ne riparlerò meglio nel post dedicato ai preferiti del mese.
Per
la nostra rubrica “Donne straordinarie”, oggi conosciamo un’altra
figura femminile raccontata dal drammaturgo Euripide.
Il
nostro percorso è stato, finora, decisamente vario e (spero)
interessante.
La
storia di Andromaca è sospesa tra pubblico e privato, tra
problematiche sociali e dolori personali, e mette in luce
l’importanza di voltare pagina, di perdonare e di non lasciarsi
trasportare dal rancore.
Ecuba e le donne troiane ci hanno invece guidato in una singolare “tragedia
dopo la tragedia”: in quest’opera corale tutta al femminile si
mescolano l’angoscia per il recente passato e l’inevitabile paura
del futuro.
Elena,
infine, è stata il singolare ed affascinante mezzo con cui l’autore
ha condannato qualsiasi genere di guerra.
Oggi
invece vi vorrei presentare una delle prime tragedie del drammaturgo:
un’opera che pone al centro della scena un grande dolore personale,
un destino ingiusto e tante difficoltà familiari.
Una
terribile proposta
Il
protagonista maschile è il re Admeto, che, come tanti personaggi
delle tragedie greche, sembra godere di una sorte benigna: è amato
dal popolo, i suoi genitori sono ancora in salute, ha una bella
famiglia.
L’improvviso
rovesciamento della fortuna, però, è alle porte: gli dei gli fanno
sapere che ha ben poco da vivere. Egli può salvarsi solo ad una
condizione: una persona deve sacrificarsi per lui.
Admeto,
per quanto sia un re saggio ed equilibrato, non può fare a meno di
farsi prendere dalla paura per il destino che gli è stato assegnato,
e finisce per chiedere agli anziani genitori questo immenso
sacrificio, ottenendo però risposta negativa.
L’unica
persona decisa a compiere questo incredibile atto d’amore è la
moglie di Admeto, Alcesti.
Com’è
facile immaginare, nell’animo del re ha inizio una lotta tra la
paura della morte e l’amore nei confronti della donna, ma, alla
fine, la prima ha il sopravvento sul secondo, ed alla donna non resta
che aspettare la sua fine.
Una
famiglia in crisi
La
tragedia ha inizio proprio nel momento in cui Alcesti sente
avvicinarsi il malore che avrebbe dovuto colpire Admeto e cerca di
esprimere le sue ultime volontà.
Innanzitutto,
ciò che Euripide vuole mettere in luce è la condotta davvero
irreprensibile della donna, che diventa l’esempio della perfetta
madre di famiglia greca. Ella, infatti, è preoccupata per quello che
accadrà dopo la sua morte, specie ai figli.
Ha paura che Admeto
decida di risposarsi e che la sua seconda moglie non sia una buona
matrigna, specie con la figlia femmina, che potrebbe essere costretta
a contrarre un cattivo matrimonio.
Il
suo ammirevole attaccamento alla famiglia contrasta in modo stridente
con l’atteggiamento di tutti gli altri personaggi. Alcesti non
è una tragedia nella quale spicca una particolare figura negativa:
non ci sono né un tiranno che tiene prigioniera la protagonista né
uno spietato comandante di un esercito nemico.
Il
messaggio di Euripide, stavolta, è di tutt’altro genere: di fronte
ad una circostanza drammatica, c’è chi agisce eroicamente – come
Alcesti – e chi, pur desiderandolo, non ce la fa, come Admeto ed i
suoi genitori, che non fanno altro che litigare tra di loro,
rinfacciarsi le rispettive mancanze ed assistere impotenti alla morte
della donna.
Un
eroe imbranato
Non
appena Alcesti è morta, arriva l’annuncio di un nuovo ospite alle
porte del palazzo. Si tratta di Eracle (o Ercole, secondo la
tradizione latina), il più famoso eroe di tutta la Grecia.
I
servi di Admeto lo esortano a mandare via l’ospite, dal momento che
c’è un grave lutto in corso, ma quest’ultimo, rispettoso delle
tradizioni, lo fa entrare ed accomodare nel salone, invitandolo a
mangiare e bere.
Eracle
non si fa certo pregare, e si diverte liberamente per qualche ora,
finché non si rende conto che tutti gli abitanti della casa sono
incredibilmente tristi.
I servi gli spiegano che è morta una donna
che aiutava in casa, alla quale il padrone era affezionato.
L’eroe,
all’inizio, crede a questa “bugia diplomatica”, ma non può
fare a meno di notare l’immenso dolore negli occhi di Admeto. È
così che apprende che la donna per la quale si sta organizzando il
funerale è proprio la padrona di casa.
In
definitiva, Eracle, sulle prime, non fa proprio un’ottima figura:
beve troppo, crea confusione con una certa noncuranza e non comprende
subito il problema.
Questa presentazione dell’eroe fa parte di uno
dei tanti risvolti “umoristici” di Euripide, che, come abbiamo
già visto in altre tragedie, ama ribaltare tanti cliché.
Una
donna che riesce a tornare alla vita
Eracle
si offre di riportare in vita Alcesti, consapevole di essere l’unico
a poterlo fare, in quanto eroe, e come tale a metà strada tra gli
dei e gli uomini.
I
dettagli dell’impresa non sono svelati nella tragedia greca, che
rispetta le regole del suo genere e mantiene l’unità di luogo
(ovvero il palazzo).
Alcesti
viene reintrodotta a casa sua coperta da un velo, che deve
proteggerla per alcune ore, al fine di completare il passaggio dal
mondo dei morti a quello dei vivi.
Eracle,
per evitare ad Admeto uno shock, la presenta come una donna che vive
nei dintorni, e lascia che sia l’uomo ad intuire le sembianze della
moglie sotto il velo.
Per
una volta, il lieto fine è garantito, grazie all’intervento di
Eracle che ha riportato Alcesti alla sua famiglia. Il lettore (così
come lo spettatore del tempo) non può però fare a meno di pensare
che le gesta della donna siano state decisamente più coraggiose di
quelle dell’eroe.
Il fatto che una figura femminile sia considerata
un’eroina è, a mio parere, una delle dimostrazioni più evidenti
della modernità di Euripide rispetto ai suoi predecessori ed anche
in confronto ad alcuni autori successivi.
Che
ne pensate di Alcesti? Conoscevate già la sua storia?
Quale
“donna di Euripide” avete preferito finora?
Fatemi
sapere!
Grazie
per la lettura, al prossimo post :-)
Ciao Silvia!
RispondiEliminaQuesto post mi ha quasi commosso, perché Alcesti è la tragedia che preparammo in classe per l'ultimo anno di liceo :)
Il verso che mi è rimasto più impresso (e che ho persino riportato sul mio quaderno di allora e sul file del computer dedicato alle citazioni) è: καὶ παῖς μὲν ἄρσην πατέρ' ἔχει πύργον μέγαν (e il figlio maschio ha nel padre un baluardo).
Ricordo anche che mi colpì l'intervento del figlioletto di Alcesti, ritratto da Euripide come un bambino "vero", e non come un adulto in miniatura com'era consueto nelle tragedie.
Grazie per questo bellissimo ricordo ;)
Ciao! Mi fa veramente piacere averti riportato alla mente questi ricordi :-)
EliminaCara Silvia, un post che è entrato nel cuore leggendo si capisce che sei una vera esperta, e dico di tutto, mi congratulo con te cara amica.
RispondiEliminaCiao e buona settimana con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Ciao Tomaso! "Esperta di tutto" è un bel complimento… diciamo che cerco di informarmi sulla tragedia greca, visto che mi piace tanto. Buona settimana anche a te :-)
EliminaCiao Silvia, non conoscevo quest'opera e mi è molto piaciuto leggerla! Complimenti per la bella analisi :-)
RispondiEliminaCiao! Anche io ho letto per la prima volta Alcesti per questo progetto...contenta che ti abbia colpito!
EliminaUna spiegazione davvero magistrale, grazie mille.
RispondiEliminasinforosa
Ciao Sinforosa! Contenta che il post ti sia piaciuto :-)
EliminaCiao Silvia,
RispondiEliminaancora tanti complimenti per il tuo successo.
E come sempre bellissimo post
Ciao Susy, grazie mille per tutto! :-)
EliminaIo non sono un'appassionata di tragedie greche,ma il tuo soffermarti con cura su questi personaggi,le loro angosce, le cose belle e brutte della loro vita, mi aiuta ad apprezzarle,oltre che a conoscerle!
RispondiEliminaCiao Angela! Grazie per le belle parole...era proprio il mio intento! :-)
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