Due libri di Marco Vichi e Fabio Stassi
Cari lettori,
anche se con un giorno di anticipo...buon 25 aprile!
Spero che le vostre Pasqua e Pasquetta siano andate bene! Io sono super fortunata, le mie vacanze proseguono fino a questa domenica…
In occasione della ricorrenza odierna ho pensato di sospendere, almeno per questo mese, la rubrica Spazio Scrittura Creativa a favore di questo post. Nel caso che però vogliate leggere un mio racconto a tema “25 aprile”, trovate La staffetta a questo link.
Di recente ho letto due libri che mi sento di consigliarvi di cuore per la Giornata della Liberazione. Si tratta di due opere molto diverse tra loro, nate dalla penna di autori italiani che già avete visto comparire su questi schermi, anche più volte.
Se preferite la narrativa, quello che fa per voi è il primo dei due libri: il romanzo Nulla si distrugge di Marco Vichi, una delle ultime avventure del commissario Bordelli, che negli anni ‘70 è funzionario di polizia in pensione, ma mai dimentica il periodo in cui è stato partigiano. Se invece vi interessa maggiormente la saggistica, ammetto che Bebelplatz di Fabio Stassi è stato davvero folgorante per me.
Oggi ve li racconto!
Nulla si distrugge, di Marco Vichi
È l’aprile del 1970 e ricorrono esattamente 25 anni da quando la Seconda Guerra Mondiale è finita e l’Italia è stata liberata dopo anni di totalitarismo e conflitto.
Il commissario Franco Bordelli è ufficialmente in pensione dall’inizio dell’anno, ma non ha mai smesso di lavorare. Con la compiacenza dei suoi superiori che “chiudono un occhio”, egli continua ad affiancare Pietrino Piras, il suo pupillo che ha di fatto preso il suo posto, per quelle indagini che gli interessano.
Mentre è insieme a lui, un giorno, arriva l’angosciante notizia della scomparsa di una bambina piccola in una casa di campagna al limitare di un bosco. Si teme la tragedia, ma si rivela un falso allarme.
Il viaggio del commissario Bordelli, però, non è affatto a vuoto: con grande sconcerto di tutti, dentro un crepaccio viene rinvenuto uno scheletro femminile. Dopo qualche ricerca preliminare, si appura che si tratta di quel che resta del corpo di una donna scomparsa anni prima: una ricca signora, moglie insoddisfatta, che forse doveva raggiungere un amante, forse una nuova vita. Fatto sta che qualcuno le ha impedito per sempre di realizzare i suoi sogni.
Purtroppo per Bordelli, Piras non si può occupare soltanto di questo cold case: la pubblica amministrazione di ogni giorno è sempre molta, ed il commissario lo sa bene. Così il nostro protagonista decide che è giunto il momento di risolvere un altro suo caso insoluto, una storia che era stata insabbiata quando lui era un giovane poliziotto alle prime armi e le ferite inferte dal fascismo erano ancora troppo fresche.
Si tratta dell’assassinio dell’arrogante e prepotente figlio di un noto esponente locale del regime: un ragazzo ritrovato in una pozza di sangue ed in piena campagna nel ‘47. Al tempo i superiori di Bordelli non se l’erano sentita di rimestare nel torbido ulteriormente; ora l’ex commissario teme che ci sia sempre stato un fraintendimento e che un omicidio ritenuto “politico” per via del padre della vittima sia in realtà causato da motivazioni molto più personali, forse addirittura intime.
Come se due casi non bastassero ad un commissario “in pensione”, ben presto se ne aggiunge un terzo: un giorno, senza alcun preavviso, un vecchio amico di Bordelli, partito improvvisamente più di dieci anni prima e quasi di nascosto, si fa vivo chiedendo di parlare con lui. Egli ha bisogno del suo aiuto per fare chiarezza su una storia che risale addirittura alla sua preadolescenza, alle scuole medie, ai tempi dei primi sogni e dei primi amori.
Una storia che ha a che fare con la sua famiglia, con una casa vacanze, con dei segreti mai svelati e soprattutto con una giovane donna che egli non ha proprio potuto dimenticare.
Credo forse di averlo già scritto quando vi ho recensito i volumi precedenti di questa serie, ma dire che la serie del commissario Bordelli è “gialla” significa limitarla.
Certo, il protagonista è un poliziotto che proprio non riesce a non pensare al lavoro, anche quando tecnicamente lo avrebbe concluso. Eppure mi è sempre sembrato che ciò che sta maggiormente a cuore all’autore sia raccontare come, anche dopo un trauma indelebile come quello di vivere un conflitto mondiale, si riesca a tornare alla vita.
Bordelli non dimentica mai quello che ha vissuto. Il passato spesso torna a visitarlo, sotto forma di ex partigiani come lui o al contrario “nostalgici” che portano avanti logiche di sopraffazione anche a distanza di decenni. Il caso insoluto del figlio del gerarca ne è una dimostrazione.
Anche il momento della “cena con racconti” è ormai una consolidata tradizione all’interno dei romanzi della serie, e rientra in questa logica. I volumi, infatti, sono già piuttosto corposi, ma contengono al loro interno un “libro nel libro”: la raccolta di racconti che gli amici e colleghi di Bordelli narrano dopo una delle cene luculliane che egli periodicamente organizza a casa sua.
La maggior parte di questi racconti – con le dovute eccezioni, perché c’è spazio anche per le storielle comiche o surreali – scava proprio nel passato e riporta alla luce dei veri e propri orrori di guerra, dal punto di vista di chi è sopravvissuto ed ha la fortuna di aver potuto mettere una distanza fisica e mentale da questi avvenimenti, al punto da poterne persino parlare tra amici.
Da questo punto di vista, però, quel che continuo ad apprezzare di più è proprio la caratterizzazione del personaggio del commissario Bordelli.
Ultimamente noi appassionati di giallo abbiamo tanti funzionari di polizia ombrosi, scorbutici, che si dedicano al lavoro perché hanno solo quello. Sia chiaro, ce n’è qualcuno che adoro. Però il personaggio creato da Vichi è davvero diverso.
Nonostante il duro passato, nonostante la dedizione al lavoro, egli è un uomo che vede ancora il bello della vita: ha scelto la campagna dopo tanti anni nel cuore di Firenze per godersi la natura; divide la vita con una ragazza, Eleonora, e con un cagnolone, Blisk, entrambi con un carattere ben più allegro del suo; ama leggere e va a conoscere di persona gli autori; organizza le già citate cene coinvolgendo di volta in volta qualcuno di nuovo; resta legato alla sua città ed ama riscoprirla ogni volta; ripensa con affetto ai suoi genitori e addirittura fa pubblicare le poesie della madre.
Un uomo che dalla guerra e dalle sue brutture si è davvero liberato, anche se non smette di combattere chi usa ancora la prepotenza. Per me, un esempio.
Bebelplatz, di Fabio Stassi
Gli eventi clou dai quali parte questa interessante ed originale opera di saggistica sono due.
Il primo è avvenuto il 10 maggio del 1933: a mezzanotte, in Germania, nel pieno del dominio nazista, centinaia di libri venivano dati alle fiamme. Il secondo invece è stato vissuto da tutti noi nel febbraio 2022: la guerra in Ucraina, che ha riportato i conflitti in Europa.
Fabio Stassi parte dal concetto di “bruciare libri” e racconta prima una serie di sue esperienze.
La prima delle quattro parti di Bebelplatz, infatti, è dedicata ad un suo viaggio di lavoro in Germania, alla scoperta dei luoghi dove in passato ci sono stati “falò di libri”: piazze che ancora adesso risultano insolitamente deserte ed inquietanti. Tanti esponenti del nazismo, compreso chi era a stretto contatto con Hitler, avevano incitato più e più volte la popolazione tedesca a sbarazzarsi di tutti quei volumi che erano stati arbitrariamente definiti “inutili, se non dannosi”.
Tra l’altro, qualcuno più cinico di me potrebbe far notare che le esatte parole con cui Goëbbels definisce chi è letterato e intellettuale (cercando di far credere al resto della popolazione che essi siano parassiti) sono drammaticamente attuali, ancora utilizzate da fin troppe persone anche in questo secolo e che questo dovrebbe dirci qualcosa, anzi, molto. Ma a quanto pare io non sono cinica…
Una seconda parte dell’opera esamina le “consuetudini di guerra”, ovvero tutti quei tentativi dell’Europa e, in generale, della società occidentale di creare degli organismi di politica collettiva e di tutela mondiale: dai primi timidi passi nel XIX secolo all’attuale NATO.
Il cuore del libro, però, restano i “libri bruciati”, ed in particolare quei cinque autori italiani che hanno fatto talmente tanto scandalo da meritare una condanna a Bebelplatz.
Vi dico sinceramente che si tratta di un piccolo elenco che ha sorpreso anche me.
Pietro Aretino, tanto per cominciare. Autore di secoli fa, che io ho studiato solo all’Università, che non è conosciuto poi così bene nemmeno da chi ha fatto tutte le scuole qui. Eppure quella sua leggerezza, quel suo godersi la vita, quella sua ironia hanno fatto saltare i nervi ai nazisti ed a chi li sosteneva.
Poi Giuseppe Antonio Borgese, professore universitario ed a lungo cittadino americano, di fatto in esilio finché le acque in Italia non si sono calmate. Un autore che ammetto di non aver ancora mai studiato – ma questo è il bello del mondo delle Lettere, secondo me: per quanto puoi approfondire, qualcosa di nuovo da scoprire c’è sempre – ma che mi incuriosisce molto.
È stato davvero spiazzante ritrovare anche Emilio Salgari in questo elenco. L’uomo che ci ha portato in India anche se non si è mai mosso dalle sue terre; il creatore di Sandokan e di tanti altri meravigliosi personaggi che hanno fatto sognare intere generazioni, soprattutto quelle precedenti alla mia, quando non c’erano poi tante opzioni per bambini ed adolescenti in materia di letteratura e/o narrativa. Che siano state l’accettazione del diverso, il desiderio di scoprire il mondo senza affermare la propria forza su chi per noi è straniero, la sete di giustizia e libertà dei suoi personaggi, la prepotenza degli antagonisti puntualmente sconfitti a far sì che i suoi testi finissero nel falò?
Sorprende molto meno Ignazio Silone, un uomo con il quale la vita è stata crudele fin dai primi anni, considerando sia la nascita in una povera periferia che il terremoto che gli ha portato via parte della famiglia. Egli cambierà più volte posizione politica, ma resterà fermo nella condanna ai totalitarismi.
Unica donna dell’elenco è Maria Volpi, autrice certo meno conosciuta di altre, che in alcuni momenti ha persino guardato al regime con benevolenza. Eppure il suo desiderio di raccontare la libertà delle donne, specie quella di costumi, ha portato alla condanna delle sue opere.
Ho già conosciuto Fabio Stassi con la splendida raccolta di racconti letterari Con in bocca il sapore del mondo (vi lascio la recensione a questo link perché è davvero imperdibile) e poi con la serie del biblioterapeuta Vince Corso (anch’essa una chicca per chi è amante dei libri).
Faccio un po’ più fatica con la saggistica rispetto ad altri generi, ma, trattandosi di lui, mi sono sentita guidata, anzi, persino trascinata in questo viaggio che potrebbe sembrare una discesa verso gli Inferi ed invece pian piano insegna come risalire a riveder le stelle.
La cronistoria dei falò di libri ci insegna che, in alcuni momenti storici più che mai, ed anche di questi tempi, leggere, e farlo con consapevolezza, è un atto di resistenza. Cerchiamo di non scordarlo mai…
Spero di avervi consigliato due letture valide per questo weekend. Io le ho davvero apprezzate!
Fatemi sapere se conoscete questi autori, se avete letto questi romanzi, se vi sono piaciuti. Nel frattempo, buona Festa della Liberazione!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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