Risposte di donne
Scrittrici nel cuore #1
Cari lettori,
dovete sapere che sono una lettrice accanita, anzi, esagerata. Quando ero iscritta all'Università, soprattutto durante i primi anni, ero molto impegnata con gli esami, ma trovavo sempre il tempo per la lettura. All'inizio della Laurea Specialistica ho “scoperto” le meraviglie della biblioteca (non so se mi spiego: libri gratis, che poi devi restituire, senza venire sommersa da ondate di manoscritti in casa tua) e non ho più smesso di farne uso. Da circa quattordici mesi, poi, visto che ho terminato gli studi e devo “solo” lavorare (...scherzavo, dai) la situazione è visibilmente peggiorata. Ormai credo che tutti i bibliotecari mi conoscano e che almeno qualcuno di loro pensi qualcosa come: ecco che torna quella ragazza minuta con tutti quei libroni! Ma come farà a portarseli a casa? E soprattutto, ci ha messo davvero così poco a leggerli?
Il mese scorso, però, ho fatto
un'eccezione alla regola: tra i vari volumi la cui mole variava dal
grandicello all'enorme ho preso anche un libro piccolo, anzi,
piccolissimo: Lettera a un bambino mai nato, di Oriana
Fallaci.
Mi è bastata la lettura delle
primissime pagine per comprendere che questa storia riveste
un'importanza capitale, e non solo per le donne della generazione
della Fallaci, anzi, non soltanto per le donne, semplicemente.
Per chi non conosce il libro, si
tratta della storia di una misteriosa protagonista, della quale si sa
soltanto che non è sposata e che lavora. Ella si trova
inaspettatamente incinta e intraprende un lungo monologo rivolto al
bambino che si porta dentro. È una vicenda sicuramente forte, a
tratti dolorosa, ma che spinge ogni lettore ad interrogarsi su quello
che prova la donna che sta raccontando il suo dramma. So che questo
libro è stato letto da molte persone, ed anche che ha suscitato
reazioni contrastanti, ma devo ancora trovare una persona che lo
definisca tiepido o banale. Non si tratta di una lettura che lascia
indifferenti: si può essere d'accordo (o meno) con le idee esposte
nel corso della narrazione, ma non è possibile chiudere il libro
senza aver maturato nessuna opinione in proposito.
Tuttavia, non è mia intenzione parlare della grandezza di questo romanzo, perché sicuramente lo avranno fatto in tanti (molto più esperti, bravi e qualificati di me).
Quello che vorrei raccontarvi
oggi, invece, è un fatto curioso che mi è accaduto leggendo, e che
ci riporta al tema della biblioteca, perché, se avessi comprato il
testo in una libreria, non mi sarebbe mai successo.
Ho notato subito che le pagine
erano fortemente sottolineate, un po' spiegazzate, vissute. Non
mi sarei comunque aspettata, però, dei commenti a margine da parte
della precedente proprietaria del libro. Inoltre, non si trattava
certo di osservazioni leggere e casuali.
“Io
so anche questo. Io lo ho vissuto. Benché il ricordo non mi
tormenti, mi lascia sempre e comunque perplessa sulla giustizia della
vita.”
All'interno del libro, la
protagonista sta parlando di quanto, spesso e volentieri, l'esistenza
possa essere ingiusta. Fin da quando siamo bambini, ci sono le
principessine che hanno dei giocattoli costosi quanto un mutuo, e
altre piccole che si accontenterebbero di un cioccolatino ma non
riescono ad avere nemmeno quello, e così sono costrette a rimanere
in un angolo.
Così, anche crescendo, secondo la protagonista, noi donne non cambiamo (Mi perdonino i signori lettori se faccio un discorso al femminile...il contesto lo richiede.). La narratrice è arrabbiata: ritiene che, ancora una volta, siano sempre le medesime ad avere privilegi (sia nel lavoro che nella vita privata), mentre quelle che più si impegnano si devono accontentare delle briciole. Anche la mia anonima commentatrice probabilmente pensa la stessa cosa, anzi, l'ha proprio vissuta sulla sua pelle.
Quanto a me, non so. Nonostante la fatica nel frequentare una Facoltà impegnativa e non sempre apprezzata in società, il precariato nell'insegnamento e le difficoltà lavorative della mia generazione... mi sono sempre ritenuta molto fortunata.
Tuttavia, sono pensieri che, in
questo periodo durante il quale il “merito” è un concetto
relativo, molte importanti decisioni sembrano affidate al caso ed
ognuno di noi sembra sempre aspettare qualcosa di meglio... beh, sono
più che naturali.
“Anche
io ho cercato la coerenza, non la chiamavo così, ma era simile.
Anche io ho pianto.”
Quando il destino interviene e
pone fine da solo a dei dubbi che ci eravamo posti, non sempre la
reazione è di pace e di sollievo. È in questi casi che si invoca la
“coerenza” della quale parla la protagonista, alla quale fa
riferimento anche la donna che commenta.
Questi sentimenti si
sperimentano, secondo me, soprattutto nel momento in cui è
difficoltoso prendersi cura di qualcuno. Può essere il caso di una
madre, ma anche quello di una figlia, una sorella, una nipote.
In qualsiasi momento può capitare di sentirsi sbagliate o inadeguate!
C'è l'attaccamento nei
confronti di quella persona, certo.
C'è la fatica che occuparcene
comporta per noi.
C'è quella punta di sollievo
della quale un po' ci vergogniamo, nei momenti in cui la situazione
all'improvviso cambia.
Di sicuro, infine, c'è un
grande dolore nel vivere tutto questo.
Come possiamo cercare una
coerenza? Questa parola appartiene al mondo delle decisioni
razionali, ed ogni persona è fatta anche di profondissime
irrazionalità. Altrimenti saremmo dei robot, no?!?
“Uomini=Eterni
bambini e le lori madri che li fanno rimanere tali!”
Mi trovo un po' in difficoltà a
parlare di questo commento, in quanto questo non è un blog di
consigli sentimentali o posta del cuore. Tuttavia, come lettrice, mi
ha davvero colpito la rabbia con la quale questo commento (in
maiuscolo e ricalcato rispetto agli altri) è stato scritto.
Forse, oltre all'osservazione un
po' scontata che non è mai il caso di generalizzare, ho soltanto un
piccolo pensiero. Oriana Fallaci ha scritto questo libro nel 1975, ma
tutti noi viviamo nel 2015, ben 40 anni dopo. Il mondo è cambiato.
Non ci sono più soltanto l'uomo e la donna, in una rigida relazione eterosessuale, malvista se non siglata dal matrimonio e con tanto di suocera invadente.
(Sì, lo so, lo so che in
Italia spesso è così comunque, ma lasciatemi sognare.)
Ci sono le relazioni “di
fatto”, gli omosessuali, le separazioni, i single con o senza
figli, le famiglie allargate. Ci sono tante persone che si
interrogano, fino all'età adulta, sul loro essere uomo o
donna.
Ognuno di noi, a poco a poco, rispetto al passato, sta iniziando a costruire la propria libertà relazionale, e questa non è una limitazione, ma una ricchezza. È un passo in più perché non ci siano più le categorizzazioni di cui sopra.
“Tu
non sarai più, ed altri tu non ti sostituiranno.”
Ammetto che mi si è spezzato un
po' il cuore leggendo questa frase. Che sia per aborto o per una
causa naturale, credo che tutte le donne vivano la perdita del feto
come un lutto.
Tuttavia, non occorre davvero
essere una madre per comprendere questo passaggio.
Qualsiasi persona si perda non è
sostituibile, perché, come dicevo prima, siamo unici.
Credo che la mia commentatrice
avesse capito molto bene questo, e che fosse talmente sconvolta e
disperata da non rendersi neanche conto di aver lasciato questa
testimonianza a qualcun altro.
In conclusione: avete letto il
romanzo? Ne avete parlato con qualcuno? Quali sono i vostri pareri?
Un grazie di cuore, comunque,
alla mia anonima collega lettrice e commentatrice, dovunque ella sia!
Al prossimo post :-)
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