martedì 12 marzo 2019

PARIGI E LA SOCIETA'

I PICCOLI POEMI IN PROSA   #2




Cari lettori,
eccoci giunti ad un secondo appuntamento con “Il momento dei classici” e i Piccoli poemi in prosa di Baudelaire!


Se nello scorso post avevamo commentato insieme un primo “blocco” di queste opere, nel quale il poeta annunciava le sue intenzioni e le tematiche principali, oggi analizziamo una seconda parte di questa raccolta, un po’ più complessa da comprendere.


Oggi vi parlerò infatti di alcuni piccoli poemi piuttosto lunghi, che presentano diverse argomentazioni e temi non sempre semplici, tutti, in qualche modo, collegati al modo in cui il poeta vive Parigi e considera la società.

Spero comunque che la mia interpretazione vi interessi!



IL CANE ED IL FLACONE


E così, voi stesso, indegno compagno della mia triste vita, voi assomigliate al pubblico, al quale non bisogna mai presentare dei profumi delicati che lo esasperano, bensì delle schifezze accuratamente scelte.


Il poeta offre ad un cane randagio, che lo segue ovunque vada, un flacone con un’essenza molto pregiata, sperando che quest’ultimo lo apprezzi. Il cane, però, si ritrae schifato.
Il protagonista non può fare a meno di constatare che il suo amico animale forse avrebbe preferito annusare gli escrementi di un altro cane.


Nella sua mente, il cagnolino schizzinoso diventa subito un equivalente del pubblico, che rifiuta a priori i prodotti culturali perché richiedono impegno ed attenzione, ma è felice se gli viene proposto uno spettacolo brutto ma confezionato nel modo giusto.

Certo, pensando al dilagare della tv trash ed all’insuccesso di alcuni format che pure erano di qualità, verrebbe da pensare che non siamo cambiati molto dai tempi di Baudelaire…



IL CATTIVO VETRAIO


Che impudente siete! Voi osate camminare in quartieri poveri, e non avete voi stesso dei vetri che facciano vedere la vita con lenti belle!


Questo piccolo poema, piuttosto lungo, ha inizio con una sorta di premessa: a tutti noi, inspiegabilmente, è capitato di cedere ad un attimo di esaltazione, di rabbia, di follia.
Il poeta porta ad esempio alcuni suoi amici: c’è chi ha provato ad appiccare il fuoco, chi si è seduto vicino a della polvere da sparo, chi ha vinto la sua timidezza ed ha abbracciato delle persone per strada.


Esaurita questa panoramica, egli ricorda un giorno in cui ha fatto salire un vetraio ambulante a casa sua e l’ha sgridato per la povertà della sua merce.
Il povero vetraio, infatti, era reo di vendere soltanto vetro comune per le persone più povere della città, che ne avrebbero fatto un uso meramente funzionale.

Baudelaire, invece, ribadisce l’importanza di vendere dei vetri colorati proprio ai ceti sociali più bassi, che hanno un grande bisogno di vedere la vita come se fosse più bella di quella che è.

Ancora una volta, il poeta cerca una fuga dalla sua condizione di miseria, e trova nella fantasia un rifugio costante, per quanto fragile.



AD UN’ORA DEL MATTINO


Finalmente solo! Non si sente altro che il passaggio di qualche carrozza ritardataria e sfiancata. Per qualche ora noi possiederemo, se non il riposo, almeno il silenzio. Finalmente! La tirannia del volto umano è scomparsa, ed io non soffrirò più, se non per conto mio.


Questo splendido piccolo poema, che io amo molto, è scritto al ritorno da una notte mondana parigina. Il protagonista è appena tornato e, invece che crollare nel letto soddisfatto per la serata trascorsa, prova un senso di sollievo e si ferma un attimo a godere il silenzio.


La nottata appena trascorsa, infatti, è stata per lui una sorta di fatica. Egli ha dovuto ascoltare i consigli non richiesti di tante persone saccenti, raccontare controvoglia dettagli della sua vita a dei quasi sconosciuti, tenere per sé qualche aneddoto divertente perché certo che non sarebbe stato capito, ed ovviamente fare finta di divertirsi.

Alla fine della nottata, non gli resta che cercare l’ispirazione, perché è certo che l’attività letteraria è ciò che lo rende veramente diverso dalle persone che disprezza e che, senza la poesia, finirebbe per assomigliare fin troppo a questi scocciatori.


Non vi nascondo che, ripensando ad alcune circostanze, mi sono resa conto che in questo poema Baudelaire mi ha letteralmente tolto le parole di bocca…



LA DONNA SELVAGGIA E LA PICCOLA MAITRESSE


A vedere gli inferni dei quali il mondo è popolato, che cosa volete che io pensi del vostro bell’inferno, voi che non riposate che su delle stoffe dolci come la vostra pelle, che non mangiate altro che carne cotta, e per le quali un abile domestico si prende l’incarico di tagliare i pezzi?


Affrontiamo nuovamente la differenza che Baudelaire nutre nei confronti dell’amore. Questo piccolo poema è un dialogo tra il poeta ed una giovane maitresse.

La seconda, com’è facile immaginare, soffre per la sua condizione: si sente ai margini della società, sa di essere disprezzata dalle classi sociali più elevate e, nel vedere le donne rispettabili con le loro famiglie, non fa che sospirare.


Il poeta, per tutta risposta, indica alla ragazza una coppia sposata, ritratta in modo paradossale: la donna è rappresentata come una donna selvaggia in una gabbia, sempre furiosa e costretta a nutrirsi della carne cruda che le passa il marito, il quale, non essendo a sua volta soddisfatto della vita che conduce, si sfoga maltrattando la moglie.

La giovane prostituta viene invitata a riconsiderare le sue comodità, prima tra tutti quella di non dover essere legata per la vita ad un uomo. 


Probabilmente Baudelaire sta facendo un amaro riferimento alla madre ed al suo secondo marito, che egli odiava di tutto cuore. Il suo cinismo nel considerare la vita matrimoniale, comunque, è una costante della sua poetica.



LA FOLLA


Il poeta gode di questo incomparabile privilegio, ovvero poter essere, quando vuole, se stesso o un altro. Come queste anime erranti che cercano un corpo, egli entra, quando vuole, nel personaggio di ognuno. Per lui solo, tutto è libero; e se alcuni luoghi gli sembrano essere preclusi, è perché ai suoi occhi essi non valgono la pena di essere visitati.


Nuova riflessione del protagonista sull’amore e sull’odio per la folla.

Stare in mezzo alle persone semplicemente per non essere soli, per apprezzare una qualunque altrui compagnia, è per il poeta un vero spreco.

Chi è infatti in grado di stare bene da solo affronterà la folla con uno straordinario spirito d’osservazione, fino al punto di riuscire ad identificarsi anche con chi conosce pochissimo.


In definitiva, i più fortunati sono coloro che hanno fatto una scelta di vita che prevede un isolamento almeno parziale, come i fondatori di colonie ed i preti missionari. Costoro, infatti, possono osservare la folla con il giusto distacco, e sorridere di chi chiede loro se non si sentono mai soli.


La vera conoscenza dell’animo umano è, per il poeta, molto più degna di un amore ordinario. Si tratta di un concetto apparentemente semplice, ma, a mio parere, incredibilmente vero.



LE VEDOVE


È soprattutto nei confronti di quei luoghi che il poeta ed il filosofo amano dirigere le loro avide congetture. Là c’è qualcosa di certo. Perché se c’è un posto che essi disdegnano visitare, come ho appena fatto presente, è soprattutto la gioia dei ricchi.
Questa turbolenza in vita non ha niente che li attiri.
Al contrario, essi si sentono irresistibilmente trainati verso tutto ciò che è fragile, rovinato, contrastato, orfano.


Le protagoniste di questo piccolo poema sono le povere donne rimaste vedove.

Baudelaire già in altre occasioni ha amato descrivere i ceti sociali meno abbienti, ai quali si sente dolorosamente vicino.

Egli cerca di immaginare le storie di queste donne, alcune delle quali si portano dietro dei figli vestiti a lutto, e difende con decisione la loro dignità, che apprezza molto più della leggerezza di tante ricche nobildonne.


L’attenzione, la compassione, quasi l’affetto che spesso Baudelaire riserva ai poveri ed agli ultimi è tutt’uno con il suo amore per la vecchia Parigi, destinata ad essere spazzata via dal benessere ed al progresso.



IL VECCHIO SALTIMBANCO


...E mi dissi: ho appena visto l’immagine del vecchio uomo di lettere che è sopravvissuto alla generazione del quale fu il brillante intrattenitore; del vecchio poeta senza amici, senza famiglia, senza bambini, degradato dalla sua miseria e dall’ingratitudine pubblica, e nella baracca nella quale il mondo, dimentico, non vuole più entrare!


Ennesimo caso di identificazione del poeta con un escluso dalla società. Questa volta si tratta di un anziano saltimbanco, che, escluso dalla festa del paese, resta nella sua baracca sperando che qualcuno voglia ancora divertirsi con i suoi vecchi trucchi.

Tutta la città è in festa; ovunque ci sono sorrisi, risate, divertimento, scoppi e musica; solo il silenzio e l’isolamento dell’anziano artista creano uno stridente contrasto.


Il suo destino sembra tristemente simile a quello che il poeta immagina per se stesso. Non manca un’ennesima invettiva nei confronti della massa, rapida nel glorificare qualche artista ma altrettanto veloce nel dimenticarlo.



LA TORTA


...C’è dunque un paese superbo dove il pane si chiama “torta”, dall’appetibilità così rara che basta per ingaggiare una guerra perfettamente fratricida!


Questo piccolo poema, a mio parere, andrebbe letto da tutti, ma proprio tutti coloro che si divertono (e provano a conquistare denaro e consensi) ripetendo banalità sulle giovani generazioni e sulla precarietà lavorativa.


L’immagine descritta dal poeta è ben triste: due poveri monelli di strada vedono, nello stesso momento, una crosta di pane raffermo, che ai loro occhi appare golosa quanto una torta. I due si picchiano a sangue per riuscire ad ottenere quel misero bottino, che passa di mano in mano, finché non cade nel fango e si sbriciola.


Questa è la situazione attuale per molte persone: non si tratta di competitività, di dinamicità, di flessibilità, di qualunque altro parolone politici di qualsiasi colore ed esperti di turno ci vogliano propinare.
È la ricerca di un “premio” penoso che è comunque il meglio che si trova in circolazione, ha un gusto amaro e finisce presto lasciandoci di nuovo affamati.
È la rivalità costante con persone che hanno il diritto di vivere serenamente, proprio come noi, mentre i soliti privilegiati ci guardano soffrire dalle loro belle carrozze.
È la consapevolezza di doversi guadagnare, accaparrare e meritare qualcosa che dovrebbe essere diritto di tutti.
Perdonate se sono così baudelairiana, ma a me sembra solo disperazione.




Come avrete notato, questa seconda sezione non è dedicata soltanto agli amati mal di vivere e ideale che tanto ama il poeta, ma presenta anche delle importanti tematiche sociali. Spero che abbiate apprezzato i miei commenti!
Quale di questi brani vi ha colpito di più? Attendo un vostro parere!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)

6 commenti :

  1. Ciao Silvia, bellissima analisi! Di Baudelaire per ora ho letto soltanto "I fiori del male", che avevo amato follemente. Leggerò sicuramente questa raccolta, oltre a "Lo spleen di Parigi"

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    1. Ciao Ilaria! "I fiori del male" sono forse la mia raccolta poetica preferita di sempre. Sono contenta che l'analisi ti sia piaciuta!

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  2. Cara Silvia, sempre chiari i tuoi post, ci spiegano tutto chiaramente.
    Ciao e buon pomeriggio con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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    1. Ciao Tomaso! Io spero sempre di essere chiara… sono contenta di sapere che è così. Buon pomeriggio anche a te!

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  3. Affascinante guardare il mondo e gli uomini attraverso gli occhi dei poeti e Baudelaire mostra grande sensibilità.
    Non conoscevo questi poemi, mi piacciono soprattutto Ad un'ora del mattino e La folla!

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    1. Ciao Angela! Per me quest'opera è bellissima proprio perché affronta tante sfumature dell'animo umano. La sensibilità di Baudelaire era grande...anche se a volte purtroppo il suo male di vivere aveva la meglio su di lui!

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